Baciccio, il virtuoso del ritratto che ha fatto esplodere il Barocco

Incontinente nelle forme, sempre poliedrico e amante del movimento. Il pittore genovese stupiva i committenti per i suoi "effetti speciali"

Il ritratto del cardinal Spinola eseguito da Giovan Battista Gaulli (Baciccio)
Il ritratto del cardinal Spinola eseguito da Giovan Battista Gaulli (Baciccio)

Un lungo viaggio attraverso le meraviglie del mondo dell'arte. Ogni settimana il critico Vittorio Sgarbi racconterà un'opera di un grande maestro del passato o della contemporaneità - una tela, un affresco, una scultura, una installazione... - leggendola con un occhio particolare. Non solo facendoci (ri)scoprire un gioiello dimenticato o lontano dai grandi itinerari del turismo culturale, ma anche facendone emergere i legami artistici e sociali con l'attualità. Una lezione di un intellettuale sempre fuori dal coro che ha sempre molto da insegnarci.

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Non credo che si abbia l'esatta percezione della incommensurabile grandezza di un pittore nel quale, come e più che in Gian Lorenzo Bernini, si esprime l'essenza dello spirito barocco, in opere equivalenti alla Santa Teresa e alla Santa Ludovica Albertoni del grande scultore. Mi riferisco a Giovanni Battista Gaulli, detto il Baciccio. Egli nasce a Genova, nel mio stesso giorno, l'8 maggio del 1639.

Poco si sa dei suoi inizi nella città ligure, se non per un rapporto con il più versatile e fantasioso pittore di quel tempo, Giovanni Battista Castiglione detto il Grechetto.

Perduti i genitori a 18 anni nella peste del 1657, Baciccio si trasferisce a Roma dove, tra varie esperienze, incrocia, attraverso il mercante d'arte Pellegrino Peri, proprio Gian Lorenzo Bernini, che prende il pittore sotto la sua protezione. Siamo agli inizi degli anni '60, quando il Baciccio si sposa e viene accolto dagli Accademici di San Luca dove assume ruoli di crescente rilievo fino a quello, apicale, di Principe, nel 1673. Ai suoi inizi si ricorda la pala con la Madonna e i santi Rocco e Antonio per la Chiesa di San Rocco, databile verso il 1661. La prima importante commissione è nel 1666-71 per i pennacchi della cupola di Sant'Agnese in Agone su richiesta della famiglia Pamphili. In quel tempo, con la raccomandazione di Bernini, Baciccio va a Modena alla corte Estense, ed è l'occasione per vedere da vicino e studiare Correggio a Parma nelle grandi cupole, per riprodurlo in una pittura calda, sensuale e veloce. Così, se Correggio non fu mai a Roma, Baciccio andò a Parma per riportare nel suo animo, a Roma, lo spirito del maestro.

Sono gli anni in cui Baciccio lavora per la nobiltà romana: Papa Alessandro VII posa per Baciccio. E più tardi Clemente IX Rospigliosi. Nel 1667 dipinge per un vero dandy dell'epoca, Flavio Chigi, che dividerà i suoi gustosi ritratti fra Baciccio e il prolifico Ferdinand Voet. Sono anni fertili e anche di studio e approfondimento sull'opera di Van Dick, di Annibale Carracci e di Guido Reni. Nel 1668 è anche il capolavoro Endimione spiato da Diana per la camera da letto di Palazzo Odescalchi in piazza Santi Apostoli, ora trasferito in Palazzo Chigi. Altri papi ancora chiamano il Baciccio: Clemente X per la sua cappella gentilizia in Santa Maria sopra Minerva.

Nel 1672 Gaulli dipinge la Glo ria di Santa Marta per il soffitto della Chiesa di Santa Marta al Collegio Romano, con una morbidezza e leggerezza di esecuzione da impressionare il padre generale dei Gesuiti, genovese come il Baciccio, Giovanni Paolo Oliva, che affida al pittore, nel 1672, la decorazione della cupola e delle volte della chiesa del Gesù, con la benedizione del Bernini.

Qui è il culmine dell'arte del Baciccio, in un vortice di cielo che ha il suo archetipo nell'affresco del Correggio, nel Duomo di Parma, cui si aggiunge il movimento delle nubi che, su protesi di stucco, coprono le superfici dei finestroni del tamburo. Una meravigliosa composizione che intende stupire con effetti speciali, come il soffitto che si spalanca davanti allo spettatore, mostrando il monogramma di Cristo in un tripudio di angeli.

La quantità delle immagini si fonde nella luce, in un vortice che appare senza limite, in uno straripamento dai limiti della cornice.

La tribuna, con la Gloria dell'Agnello mistico, fu inaugurata il 30 luglio del 1683.

Due anni dopo la volta della cappella di Sant'Ignazio. Sono anni fertili e trionfanti, con numerose committenze, pur durante i lavori impegnativi al Gesù.

Baciccio concepisce la memorabile Adorazione dei pastori per Santa Maria del Carmine a Fermo, dove sett'anni prima Rubens aveva avviato la sua Notte (un'altra Adorazione dei pastori ).

A provare l'affinità e la consonanza estetica di Baciccio e Bernini è la pala con la Madonna, il Bambino e Sant'Anna per l'altare della Cappella Albertoni in San Francesco a Ripa, a coronamento della scenografia di Bernini, per l'altare su cui è posto il gruppo marmoreo della Beata Ludovica Albertoni, in un concorde deliquio.

Analogo sentire, nello scioglimento delle forme, troviamo nella pala d'altare con la morte di San Francesco Saverio dipinta nel 1676 per la chiesa di Sant'Andrea al Quirinale.

La suggestione del Bernini si riproduce anche nella Morte di Adone a Ponce, nel Museo de Arte di Puerto Rico.

La critica riscontra, dopo tanta enfasi barocca, una fase più composta con ritmi meno vorticosi e un cromatismo più freddo.

Per alcuni, come Lione Pascoli, sarebbe la conseguenza del dolore per la morte del figlio Lorenzo; per altri, più entro la storia delle forme, un adeguamento alla nuova sensibilità estetica nell'ordine di un bello ideale ritrovato, secondo le idee di Carlo Maratta, verso un nuovo classicismo.

Baciccio risponde con l' Immacolata tra i santi Francesco e Chiara per la Chiesa di Santa Margherita in Trastevere, con il Sacrificio di Isacco e il Ringraziamento di Noè , ora al Museo di Atlanta, con la Continenza di Scipione in Palazzo Doria a Genova, con una progressiva rarefazione della sua esuberante personalità.

A questo gusto corrispondono anche la Natività del Battista in Santa Maria in Campitelli e la Madonna con Sant'Antonio da Padova per la chiesa distrutta della Santissima Annunziata di Imperia, ora nell'oratorio della Santissima Trinità a Monte Calvario.

Nell'ultimo decennio del secolo Baciccio ha diverse commesse, a Genova e altrove, a Fiastra, nelle Marche per una Conversione di San Paolo ; ancora in Sant'Andrea al Quirinale. Del 1707 è l'ultima impresa dell'artista, la decorazione della Chiesa dei Santi Apostoli, compiuta in cinquanta giorni, come racconta il Ratti. Baciccio muore a Roma nel 1709.

Nessuno meglio di lui ha espresso lo spirito e lo spazio del Barocco, in un continuo sconfinamento e in una incontinenza delle forme, nelle vaste superfici di volte e cupole.

Anche nella ritrattistica, con importanti committenti, cardinali e papi, Baciccio appare innovativo e diversamente vero, rispetto ai pittori di realismo fisiognomico e psicologico, per una capacità prima di lui solo del Correggio, di rappresentare l'alito, la morbidezza della carne, l'abbandono a espressioni di beatitudine o di compiacimento, del potere e dei sensi, in morbidezze che non hanno l'eguale. A tal punto che il suo biografo, il Ratti, racconta che il Baciccio è il solo pittore a non chiedere pose statiche ai suoi soggetti e a consentir loro di muoversi, di agitarsi, di parlare, così da esser colti in una condizione di sorpresa, di spontaneità, senza atteggiamenti e compiacimenti dei ruoli.

Il suo Cardinale Spinola, paludatissimo negli abiti, dipinto nel 1668, appare in preda a una lieve ebbrezza, con un sorriso disarmato, il copricapo scomposto, senza alcuna

autorità, ma con molta spontaneità, tanto da farlo sentire più un amico, affabile e sorridente, che un severo e contegnoso prelato.

Di questi miracoli, e ben prima dell'umanissimo magistero di Francesco, era capace il Baciccio.

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