Bagni marini, storia di 200 anni di tuffi

Pier Luigi Gardella

È abbastanza recente, a Genova e nelle riviere, l'usanza dei «bagni di mare» almeno in appropriate strutture e stabilimenti, pur così diffusa oggi. Stando a quanto scriveva il medico ed erudito Giambattista Pescetto nel 1862, sulla sua «Guida igienica per i bagni di mare» l'uso di essi risaliva a pochi decenni prima. Fu, infatti, nel 1830 che era stato aperto lo stabilimento balneare di Santa Sabina che si affiancava a quello delle Grazie da pochi anni esistente: ma erano ancora bagni in vasca con acqua marina riscaldata.
Già nel 1886, comunque, il Secolo XIX pubblicava una piccola inchiesta sui bagni marini di Genova e dei paesi limitrofi, segnalando ad esempio il primo stabilimento cittadino, quello sulla spiaggia sabbiosa della Strega, e munito di vasti «attendamenti» e «camerini mobili e fissi» e «il più che importa, munito di tre abili ed imperterriti bagnini». La vicina Sampierdarena offriva i «Bagni Cristoforo Colombo» realizzati su palafitte, mentre dei «Bagni Victoria» approfittavano «i numerosi forastieri che tutti gli anni ospita Cornigliano». Nulla avevano certamente da invidiare alle moderne strutture essendo muniti di chioschi per riposo, gabinetti di lettura, comodi camerini e lance da diporto. Un caffè ristorante offriva bibite, vini e gelati e tutti i giorni festivi una banda musicale allietava i pomeriggi dei bagnanti. Altrettanto eleganti e ben frequentati erano i bagni del «Grand Hotel Sestri», mentre quelli del «Grand Hotel Mediterranée» a Pegli conservano, unici ancor oggi, il fascino e l'eleganza che già mostravano sul finire dell'Ottocento. L'anonimo cronista del Secolo ammoniva, comunque, che solo alla Foce, ai Bagni San Pietro, era realizzato un conveniente sistema per la separazione dei sessi, essendo le cabine delle donne, poste ad una distanza considerevole da quelle degli uomini.
Questo nonostante l'abbigliamento per il bagno, sia per gli uomini sia per le signore, fosse tutt'altra cosa rispetto ai costumini odierni. Le signore usavano una veste in stoffa, spesso nera o grigia, con sottanina e mutandoni poco sopra, ma spesso sotto, il ginocchio. Petto e schiena ben coperti e riguardo al tessuto era giudicata sconveniente la maglina, che bagnata avrebbe esaltato troppo, con la sua aderenza, le forme femminili. Un cappello a larga tesa o un fazzoletto annodato a cuffia, completavano rigorosamente l'abbigliamento. Gli uomini utilizzavano invece una calzamaglia vistosamente colorata a strisce orizzontali che dal collo scendeva sino al ginocchio. Maggiore libertà, fortunatamente, era concessa ai bambini.
Aidano Schmuckher, indimenticato studioso del nostro folklore, ricorda che assolutamente non ci si bagnava in mare prima del giorno di San Pietro (29 giugno) perché «San Pê ö ne veu un pe' lê» (San Pietro ne vuole uno per sé) ed in riviera si aggiungeva anche che «San Giuvanni Battista ö ne veu un pe' a sò pelissa» (San Giovanni, 24 giugno, ne vuole uno per la sua pelliccia) . Cioè secondo gli adagi popolari bagnarsi prima della ricorrenza dei due Santi significava rischiare la vita.
La prudenza nel prendere i bagni era sempre assolutamente raccomandata: mai più di un bagno giornaliero e massimo venticinque o trenta in tutta la stagione. Michelangelo Dolcino ricorda anche che si consigliava prima del bagno un massaggio allo stomaco con olio d'oliva e di mandorle dolci e dopo il bagno per superare il senso di freddo, un brodo, un bicchierino di rosolio, un bicchiere di vino di Bordeaux o di Malaga con biscotti.
Tuttavia, pur senza le strutture e le precauzioni di fine ottocento, il bagno in mare, almeno i bambini lo facevano già nel XVI secolo.

Ce lo testimonia, tragicamente, nei suoi Annali, il Vescovo Agostino Giustiniani che scrive come nell'agosto 1504, secondo la consuetudine della regione, si bagnavano nuotando in mare alcuni fanciulli vicino a San Giuliano d'Albaro, quando a mezzogiorno un grosso pesce «di specie canina» in un momento divorò ed inghiottì uno di questi bambini, un moro schiavo di tale Aloisio Giberto.

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