Bagnoregio, la regina dei «calanchi»

Renato Mastronardi

Quando cominci ad avvicinarti a Bagnoregio, facilmente raggiungibile dall’autostrada del Sole (casello di Orvieto), la vista che più ti sorprende è un angolo di paesaggio insieme straordinario e insolito. Si tratta di quel raro fenomeno, di notevole interesse geologico, che sono i calanchi d’argilla sui quali, da secoli, opera impietosa l’azione distruttrice delle acque fluviali. Questa antichissima cittadina del Viterbese nasce con il nome di Balneum Regis per trasformarsi, in seguito, in Bagnorea e, quindi, dal 1922, in Bagnoregio. Le sue origini, più antiche e più attendibili, sono etrusche. Lo dimostrano le varie necropoli sparse nei dintorni e il ritrovamento di una statuina fittile, chiamata la Giovanetta di Bagnoregio. Nei secoli successivi, la cittadina subì, come tutta la Tuscia, prima l’occupazione di Roma e, dopo, l’invasione di Goti e Longobardi. Soltanto nel corso del secolo XIII, ormai sotto lo scudo del patrimonio di San Pietro, Bagnoregio godette una certa autonomia, anche se condizionata dalla incombente presenza della vicina, più potente Orvieto, e da quella, non meno prepotente, della più lontana Firenze. Tanto è vero che, dal Trecento al Quattrocento, la cittadina fu feudo incontrastato dei Monaldeschi, una famiglia cui appartenne il nobile Francesco che fu vescovo di Orvieto e di Firenze.
Da vedere. Sono famose le chiese del paese. Appena attraversata la Porta Albana, l’ingresso principale della cittadina, nella vicina chiesa ottocentesca di San Bonaventura, intitolata al figlio più illustre di Bagnoregio, si ammira una tela del tardo Settecento con un San Francesco che prega la Vergine per il piccolo San Bonaventura. Sull’ampio spazio di Piazza Cavour, sorge la Cattedrale di San Nicola del 1581 (ma rimaneggiata nel 1779). La facciata, a due ordini, è fiancheggiata da un alto campanile e l’interno conserva un ciclo di affreschi del 1800, una Bibbia di San Bonaventura e un Reliquiario d’argento del 1491 che contiene un osso del braccio destro del grande filosofo e santo bagnorese. Nella piazza Sant’Agostino, dopo l’ampia scalinata che porta al Palazzo Comunale, si trovano la Chiesa di Sant’Agostino, risalente al Mille e un monumento, dedicato a San Bonaventura, realizzato da Cesare Aureli nel 1897. All’interno la chiesa ospita affreschi di vari autori e un quattrocentesco crocifisso ligneo sull’altare maggiore. C’è, infine, da assaporare tutta la magia di quel borgo incantato che è Civita. «Un ciuffo di case e di mura in rovina», come scriveva il romanziere novecentesco Bonaventura Tecchi, manco a dirlo bagnorese, quando ancora Civita non era risorta all’attuale nuova vita e sistemazione urbanistica. Oggi un unico cordone ombelicale unisce il borgo al mondo: il ponte, che consente appena il passaggio di una sola persona, ma che viene percorso, ogni anno, da un grandissimo numero di turisti attirati dalle quiete più totale che avvolge le vecchie case restaurate con le scale esterne ornate di fiori, le vie spezzate, le piazzette, i portali ricchi di stemmi araldici, i palazzi aristocratici e l’antico Duomo, eretto nel XV secolo.
Da mangiare e da bere. A Bagnoregio gli ambienti familiari delle piccole trattorie offrono specialità culinarie di chiaro stampo casereccio, fortemente orientate sulla stagionalità e basate sulle risorse dell’orto. E perciò, di volta in volta, si possono gustare le fettuccine all’ortolana o le delicate pendette con pomodori freschi, basilico e mozzarella, o i maccheroncini della nonna. La coratella d’agnello è più primaverile rispetto a cinghiale e polenta, al coniglio a porchetta, all’agnello a buglione o all’arista di maiale alla birra.

Dolci tipici sono i tozzetti con nocciole e mandorle. Per i vini c’è solo l’imbarazzo della scelta tra il bianco Est! Est!! Est!!! Di Montefiascone, l’Aleatico di Gradoli e i legnosi e potenti Chardonnay della vicina azienda D’Amico.

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