Il salvataggio di Credit Suisse a opera della prima banca elvetica, ossia l’UBS, ha suscitato diverse reazioni anche nei salotti dell’economia. Un conto però è ciò che è accaduto, altro paio di maniche capire perché è accaduto.
Credit Suisse ha cominciato ad andare alla deriva ben prima che il suo fallimento si manifestasse e, il fatto che si sia verificato in concomitanza con il crack della Silicon Valley Bank, è più da imputare al caso che altro.
Ciò non toglie che le cose non accadono da sole e che ci sono ragioni che occorre ricostruire per capire cosa sta accadendo e quali ripercussioni possono esserci per il sistema finanziario italiano, europeo e mondiale.
Per fare chiarezza sull’argomento ci siamo avvalsi della collaborazione di Antonio Mele, professore presso l’Università della Svizzera italiana e membro dello Swiss Finance Institute, istituto che promulga e diffonde la cultura finanziaria.
La crisi Credit Suisse
Una crisi che non è iniziata in tempi recenti, ed è figlia di una lunga catena di avvenimenti che si sono accatastati l’un l’altro, come ha modo di illustrare il professor Mele.
Quando è iniziata la crisi Credit Suisse?
“C’è stata una gestione del Credit Suisse carente, il Consiglio di amministrazione ha subito molti ritocchi, negli anni ci sono stati diversi scandali che non sarebbero dovuti avvenire in una società, Credit Suisse, che ha rilevanza sistemica. Esiste il concorso di ulteriori circostanze. Il periodo storico che stiamo attraversando è contrassegnato da un rialzo molto consistente dei tassi d’interesse che ha inevitabilmente seguito un periodo di tassi d’interesse bassissimi. L’inversione della curva dei rendimenti, che ne è risultata, crea non poche difficoltà al sistema bancario nel suo complesso e alle banche mal gestite in particolare. Questa coincidenza di fattori ha causato la tempesta perfetta. Credit Suisse lo scorso ottobre ha annunciato un piano industriale che aveva già suscitato dubbi sui mercati, poi le perdite registrate nel 2022 (7,3 miliardi di franchi svizzeri, pari a 7,4 miliardi di euro) hanno confermato che la banca non faceva utili ma perdeva tanto proprio perché era gestita male”.
Gli scandali citati dal professor Mele sono diversi, un elenco in cui c’è di tutto un po’, compresa la prima condanna penale a carico di un istituto bancario elvetico. Questi episodi – sui quali torneremo dopo - uniti a scelte manageriali infelici hanno avuto delle conseguenze, basti pensare che, nel 2007, la banca svizzera era ottava al mondo per capitalizzazione e che, a marzo del 2023, era al 155º posto, con un valore di capitalizzazione di circa 7 miliardi, decapitato di circa 100 miliardi di franchi (101,19 miliardi di euro al cambio attuale).
Oggi l’intero gruppo vale 3,32 miliardi di dollari (3,08 miliardi di euro). A settembre del 2022 avevamo anticipato l’inevitabile.
C’è un effetto domino?
C’è un collegamento tra quanto è accaduto alla Silicon Valley Bank, la crisi della First Republic Bank e quella di Deutsche Bank e il crollo del Credit Suisse?
“Non c’è un collegamento diretto tra quanto è successo negli Stati Uniti e ciò che è successo a Credit Suisse. Ancora una volta, attraversiamo un ciclo economico in cui si è costretti ad alzare i tassi di interesse per combattere l’inflazione e, quando si alzano i tassi in modo così repentino, si ha l’inversione della curva dei tassi, ovvero i tassi a breve termine sono più alti di quelli a lungo termine e questo accentua le difficoltà delle banche che sono già in crisi. Credit Suisse è collassato nonostante i suoi coefficienti patrimoniali fossero più o meno in ordine, ma la finanza e le banche in particolare si basano su un rapporto di fiducia con il pubblico. Nel caso di Credit Suisse il rapporto di fiducia si è incrinato progressivamente a causa di una lunga lista di scandali societari e investimenti fallimentari a cui sono stati ascritti miliardi di perdite e che ha condotto la banca in contenziosi che potrebbero portare a ulteriori miliardi di perdite. A questi fatti si sono accumulate le perdite miliardarie degli ultimi anni e, a fare traboccare il vaso, c'è il ruolo di uno tra i maggiori azionisti del Credit Suisse che aveva annunciato di non volere investire altro denaro. La lettura che ne hanno fatto i mercati è lapidaria: il proprietario della banca si rifiuta di metterci altri soldi”.
Il fatto che non ci sia un collegamento diretto esclude sintomi diffusi che riguardano potenzialmente tutte le piazze finanziarie?
“L’inversione della curva riduce i margini delle banche quando non diventano persino negativi. Non è un momento bello per le banche in generale, qualcosa di simile è successo negli anni Ottanta e poi con la crisi finanziaria globale del 2008 e si sta vedendo anche oggi, fase nella quale si stanno verificando le condizioni peggiori nel medesimo momento. Le notizie di banche che sono andate in bancarotta fanno diminuire l’appetito degli investitori e chi deposita soldi nelle banche stesse perde fiducia, cosa che è successa a Credit Suisse e che ha indotto i risparmiatori a recuperare i propri averi. La Banca nazionale svizzera ha aperto una linea di credito da 50 miliardi di dollari per rasserenare i mercati, ma non è bastata a rassicurarli e così si è arrivati alla decisione presa lo scorso 19 marzo”, data in cui il Consiglio federale svizzero ha annunciato l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS.
Facendo il punto, si può dire che, anno dopo anno, Credit Suisse ha perso la fiducia sia degli investitori sia dei propri clienti e, a fare il resto, hanno pensato i tassi invertiti, l’economia che è in fase di stanca, cosa della quale soffre tutta la finanza. Riducendo il tutto a una semplice equazione, possiamo dire che, sommando un cattivo ciclo economico a una prolungata cattiva gestione, si va verso il fallimento.
Per contestualizzare il discorso fatto dal professor Mele è utile aggiungere qualche informazione. Sotto la gestione di Tijiane Thiam, amministratore del Credit Suisse dal 2015 al 2020, è stato fatto pedinare un ex manager nel frattempo passato alle dipendenze dell'UBS, sono stati fatti investimenti in fondi fallimentari (Archegos Capital Management) e acquisizioni poco felici. A corredo di ciò, a marzo di quest'anno, la Saudi National Bank - che figurava tra i maggiori azionisti della banca svizzera - ha annunciato che non avrebbe iniettato altro capitale.
L’acquisizione da parte di UBS
Punti oscuri nell’acquisizione ce ne sono diversi e l’incertezza non porta mai buone notizie sui mercati finanziari tuttavia, l’intervento del Consiglio federale e di UBS ha evitato scenari peggiori.
Questa acquisizione ha lasciato delle zone d'ombra, a suo avviso?
“Ci sono alcune incertezze dovute alla posizione netta delle attività di derivati (la differenza tra il totale dei debiti finanziari e le attività liquide, nda) che ancora non conosciamo. Se fosse grande bisognerebbe sbarazzarsi di ciò che è rimasto e questo potrebbe avere conseguenze sul mercato ed è un problema grande di cui i media non parlano”.
Prima di continuare, è doveroso fornire una definizione di derivato: è un contratto finanziario il cui valore, appunto, deriva da quello di un bene chiamato “sottostante” (che sia un titolo, una materia prima, un indice o altro). Viene usato per la copertura dei rischi perché conferisce la possibilità di acquistare o vendere il sottostante in una data futura, ma al prezzo deciso al momento in cui il contratto è stato sottoscritto. Esistono molti tipi di derivati, questa è la definizione generica.
Il Consiglio federale si è dato un gran daffare per salvare Credit Suisse. Cosa riserverà il futuro? Quali le ricadute del fallimento Credit Suisse sul sistema finanziario svizzero, europeo e mondiale? In altre parole, l'acquisizione da parte di UBS ha evitato scenari peggiori?
“In Svizzera si è evitata la corsa agli sportelli che sarebbe stata disastrosa. Non va sottovalutato che, anche a livello globale, sarebbero state altrettanto disastrose perché Credit Suisse è una banca che ha un’importanza sistemica, ciò significa che può mettere in crisi l’intero sistema. Quando alla fine del 2006 è iniziata la crisi dei subprime si trattava di una perdita di mille miliardi, non tantissimo. Ciò nonostante, si è trasformata nella peggiore crisi dopo quella del 1929 proprio a causa degli effetti a cascata che possono essere disastrosi. Se il sistema bancario comincia a rallentare e le banche non si prestano più soldi perché non c’è certezza del rimborso, non prestano soldi neppure all’economia reale. Si è evitato il peggio sia in Svizzera sia a livello globale”.
Il futuro del sistema bancario
La sfera di cristallo non ce l’ha nessuno, va però compreso quanto UBS – uno dei gruppi più importanti al mondo – possa trovare spazio, tra le proprie attività, anche a quelle di Credit Suisse.
Quale il futuro nel post-acquisizione?
“Andrebbe capita la reale posizione sui derivati. In ogni caso è presumibile pensare che più banche fanno più concorrenza, ma che avere meno banche migliori l’efficienza. In Svizzera ci sarà un mercato bancario più consolidato ed efficiente e UBS diventerà ancora più importante dal punto di vista sistemico. I mercati attendono il piano industriale di UBS e, comunque, è in atto in tutto il mondo un processo di consolidamento delle attività bancarie”.
I nodi da sciogliere
Di nodi da sciogliere ce ne sono ancora molti, c’è un profilo bancario di portata mondiale che sta prendendo corpo grazie a garanzie statali, ci vorranno anni prima che questa operazione generi profitti. C’è la questione dei bond AT1, obbligazioni simili alle azioni che rappresentano un debito che si azzera quando la banca che lo ha emesso si trova in difficoltà. In Italia ne circolerebbero per 18 miliardi di euro. Le obbligazioni AT1 di Credit Suisse, per circa 16 miliardi, sono state azzerate.
Qual è la sua opinione rispetto a questo azzeramento?
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