Il voto di scambio in Mediobanca

Cominciamo però ad avere qualche dubbio quando leggiamo che la nuova società, che avrà sede non a Trieste ma ad Amsterdam, sarà governata da un vertice formato da tre francesi, un americano e nessun italiano

Il voto di scambio in Mediobanca

Diceva Giulio Andreotti che a pensar male si fa peccato ma spesso si indovina. Un dubbio che da qualche giorno è il nostro tarlo, ovvero da quando il consiglio di amministrazione delle Generali, un po' troppo frettolosamente e contro gli inviti alla prudenza dei revisori interni, ha dato parere favorevole alla nascita della joint venture con la francese Natixis (gruppo Bcpe), terzo colosso europeo del risparmio gestito. In ballo ci sono 1.900 miliardi di risparmi che finiranno in una newco olandese per essere gestiti «al meglio», assicurano dalla compagnia triestina che al progetto contribuirà con 630 miliardi a fronte dei 1.200 conferiti dal colosso francese. Un'operazione monstre, capace di fare di questa nuova realtà un campione mondiale del risparmio gestito, sebbene realizzata con modalità diverse da quelle che hanno segnato la crescita - avvenuta per linee interne o attraverso acquisizioni - di giganti come Allianz, Axa, Zurich Insurance. Ma tant'è, siccome ancora non vogliamo pensar male, prendiamo per buone le promesse di ottimizzazione dei risultati gestionali di cui abbondano la nota ufficiale e le dichiarazioni dell'amministratore delegato Philippe Donnet. Cominciamo però ad avere qualche dubbio quando leggiamo che la nuova società, che avrà sede non a Trieste ma ad Amsterdam, sarà governata da un vertice formato da tre francesi, un americano e nessun italiano. Per carità, non spetta a noi giudicare la professionalità dei quattro manager, ma trattandosi del principale gruppo finanziario-assicurativo italiano, decisamente più redditizio del potenziale alleato francese, una robusta spolverata tricolore sul cda sarebbe stata doverosa.

E i dubbi crescono quando, leggendo e rileggendo la nota ufficiale, dove peraltro si segnala che le sinergie dall'unione ammonteranno a solo 210 milioni, troviamo conferma del fatto che non è prevista una exit strategy qualora le nozze andassero in crisi durante i primi 15 anni. Per non dire degli impegni immediati per 15 miliardi che Generali si assume in solitaria per sostenere l'avviamento del progetto: 15 miliardi, presumiamo, sottratti a potenziali acquisizioni. Il che avvalora l'ipotesi di un cambio radicale dell'oggetto sociale delle Generali - del resto lo stesso Donnet parla di «operazione bella e trasformativa» - e che quindi il cda sta operando scelte che dovrebbero essere riservate all'assemblea degli azionisti. Ma sebbene ciò accresca le nostre curiosità sulla reale finalità dell'operazione, ancora non spiega la fretta con la quale il cda ha dato via libera, peraltro solo a maggioranza, a questo «innovativo» matrimonio.

Tutto diventa più chiaro se leghiamo i tempi del via libera del cda all'imminenza del rinnovo del cda medesimo (in calendario a maggio) e soprattutto dell'amministratore delegato della compagnia triestina. Sull'argomento tre anni fa sono corsi fiumi d'inchiostro per descrivere scontri al calor bianco mai visti prima, con i grandi soci privati da una parte (Francesco Gaetano Caltagirone, Gruppo Del Vecchio e altri primari imprenditori), fermamente orientati a far prevalere il peso dell'azionista su quello del management; e con Mediobanca dall'altra (anch'essa azionista, ma dominata dai manager) tesa a dimostrare quanto è meglio l'opposto e supportata da un ampio corollario di istituzioni finanziarie internazionali, reclutate nel tempo grazie a ricche commissioni, che le hanno reso più facile battere al voto assembleare il fronte degli imprenditori, perpetuando così un controllo sulle Generali che ormai si rinnova da cinquant'anni con grandi benefici per i suoi ricavi.

E quale avrebbe potuto essere la novità di questa nuova tornata di nomine al vertice della compagnia assicurativa? Impensabile che lo scontro possa durare all'infinito, perciò la scadenza di maggio fin dall'estate veniva vissuta come fosse l'ultima sfida, ritmata da una trattativa pacificatrice che non è mai davvero cominciata. Sicché, mentre i due principali azionisti privati andavano organizzandosi per costruire un fronte capace di far prevalere le proprie ragioni, forti di un gruppo finanziario all'altezza dell'avversario (nessuno pensa che la cordata Bpm-Mps-Anima fortemente auspicata dal governo abbia come finalità esclusiva la realizzazione del terzo polo bancario, vista la scarsa sintonia che alberga a Palazzo Chigi verso gli obiettivi egemonici dell'asse Milano/Trieste), in Mediobanca, vero regista dell'operazione, non a caso vi figura tra gli advisor sebbene in pieno conflitto di interessi, devono aver pensato che era meglio accrescere ulteriormente il proprio arsenale di voti di scambio coinvolgendo direttamente le truppe del colosso francese. Non sorprenderebbe perciò scoprire, al momento della conta dei voti a fine assemblea per la nomina del nuovo cda e del nuovo amministratore delegato (Donnet probabilmente si ricandiderà), che una massa ingente di voti a favore della lista Mediobanca è espressione più o meno diretta della galassia Bcpe-Natixis. Nemmeno è da escludere che in quei portafogli già oggi stazionino pacchetti di azioni Generali pronti a scattare al semplice richiamo.

Oggi non sappiamo se il governo deciderà di ricorrere o meno ai rigori del golden power per limitare i rischi che potrebbero venire al Sistema Italia da un trasferimento su una piattaforma basata all'estero di 630

miliardi per lo più raccolti presso i risparmiatori italiani; nutriamo però fondati sospetti che Mediobanca si avvarrà anche dell'alleanza con Natixis per tentare ancora una volta di affermare la propria egemonia sulle Generali.

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