Dal nostro inviato a Francoforte
Letteratura e impegno civile sono una coppia di fatto alla Buchmesse. Anche ieri è stato un giorno dove la politica ha tenuto banco. Roberto Saviano al Pen di Berlino; «Il ritorno dei fantasmi» (fascisti, ovviamente) con Donatella Di Pietrantonio, Helena Janeczek, Katja Lange-Müller e Birgit Schönau allo stand collettivo italiano; e Alessandro Baricco nel Padiglione italiano. Senza contare Anne Applebaum, Premio per la pace dei librai tedeschi, che ieri, presentando il saggio Autocracy Inc., ha parlato della crisi delle democrazie, spaziando dagli Usa all'Italia («l'Italia una autocrazia? Non ancora...»).
Alessandro Baricco, a differenza di molti altri, non ha verità assolute da dispensare al pubblico. La premessa è chiaro: «Sono anni che mi interrogo sul rapporto tra letteratura e impegno. Non ho una soluzione ma alcuni pensieri fissi, e io mi fido dei pensieri che mi accompagnano per decenni». Il primo pensiero è questo: «Letteratura e impegno civile sono piuttosto lontani. Non credo si debbano avvicinare più di tanto. Mi aiuto con un'immagine. Pensate alla realtà come un grande tappeto, piuttosto spettacolare. Noi ne vediamo gli strappi, le irregolarità, le ingiuste sovrapposizioni. L'istinto che spinge a correggere e riparare è l'impegno civile. Implica il chinarsi sul tappeto, guardarlo da vicino, sporcarsi le mani».
La letteratura implica un gesto diverso: «Io penso che in generale la letteratura si applichi al rovescio del tappeto. Si dedica alla trama che c'è sotto. Una trama disordinata, caotica. Il rapporto con la parte sopra è quasi misterioso. Il rapporto tra la superficie e la trama è il mistero che tiene insieme letteratura e realtà. Talvolta, magicamente, letteratura e impegno civile vengono a toccarsi, a ruotare uno dentro l'altra. Ma sono le eccezioni. Pensate a Primo Levi. Ma non esiste solo la letteratura. Ci sono tipi di scrittura che hanno un rapporto stretto con l'impegno civile. La saggistica o la pubblicistica. C'è la televisione, ci sono i social media».
Il secondo pensiero è che «la letteratura non si tocca. Qualsiasi tentativo di intimorire, censurare, emarginare, perseguitare la letteratura non deve passare. Mai. Le storie possono essere anche fastidiose, scandalose, urticanti. Ma per noi è importante conservarle da qualche parte. Ne abbiamo bisogno perché abbiamo bisogno di mantenere aperto questo canale verso l'invisibile, verso quello che è concesso vedere a pochissimi artisti».
Poi c'è un discorso complesso sul rapporto fra scrittori e poteri, al plurale, perché non c'è solo potere politico.
Accade che brillino gli scrittori allineati ma anche gli scrittori in opposizione. In questo gioco, non importa il valore obiettivo. Non dobbiamo dargli troppa importanza. Quello che conta è altro: il potere politico non riesce mai a controllare la letteratura.
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