«Il punto è che giornaliste e giornalisti attivi nella gestione dell'economia del mondo editoriale, più che scrittrici e scrittori, come si autodefiniscono, sono funzionari al soldo della creazione del fatturato e sono pronti a tutto, e pur di fare caciara alla fine lasciano perdere le distinzioni e confondono il senso stesso del lavoro culturale». Una frase dura. Un j'accuse contro coloro che invece che alla qualità del prodotto pensano alla sua vendibilità. E alla propria visibilità.
È una frase detta da Nadia Fusini, scrittrice, anglista di chiara fama, famosa traduttrice (dirige la collana di traduzioni shakespeariane di Feltrinelli, per dire). E l'ha detta domenica, su Facebook, quando ha scoperto, leggendo Robinson, l'inserto culturale di Repubblica, testata con cui peraltro collabora, che il giornale in occasione della «Giornata contro la violenza sulle donne esce» in edicola con allegata un'edizione di Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf - un manifesto letterario del femminismo - nella storica traduzione di Maria Antonietta Saracino e con le note curate dalla stessa Fusini. La quale si è inviperita non tanto per il fatto di non essere stata avvisata, visto che si usa anche il suo lavoro, ma che Repubblica, «insieme al nostro comitato editoriale di booktoker», ha affidato la prefazione del libro a Felicia Kingsley e la postfazione a Chiara Valerio; due testi che Robinson anticipa dedicandogli la copertina e quattro pagine.
Commento di Nadia Fusini: «Oggi con desolazione su Robinson mi ritrovo a mia insaputa coinvolta in un'operazione commerciale fuorviante e avvilente, in cui si presenta Una stanza tutta per sé utilizzando la bella traduzione dell'amica Maria Antonietta Saracino, con le mie note al testo, riprese entrambe dai Meridiani Mondadori da me curati». E qui viene la parte più bella. «Tutto questo al fianco di una mediocre scrittrice di romanzi rosa, che firma la prefazione, e la postfazione di una scrittrice, polemista, giornalista, editorialista, organizzatrice di eventi culturali, e chi più ne ha più ne metta, che si ostina ancora a non distinguere tra Al Faro e Gita al faro». Aggiungendo: «Quest'ultima (la Valerio, ndr), poi, su Instagram si avventura a supporre che sempre Virginia, mossa dalla sua inesauribile curiosità, magari avrebbe usato Tik tok... E no, a dire il vero, Woolf io proprio non ce la vedo tiktokkare».
Ora. Non vogliamo giudicare l'operazione di marketing dei colleghi di Repubblica; tutti i giornali le fanno.
Vogliamo però segnalare le prime crepe che si stanno aprendo nel monumento amichettistico di Chiara Valerio, l'intellettuale di riferimento di Elly Schlein, già nella bufera in questi giorni per avere invitato alla «sua» fiera Più libri più liberi, dedicata a Giulia Cecchettin, un filosofo sotto processo per lesioni nei confronti della compagna.
Personalità tentacolare, che si infila ovunque, da RadioTre a Einaudi, da Marsilio ai premi letterari, dal cinema ai saloni del libro, Chiara Valerio - a leggere i commenti di solidarietà di editor, scrittori, giornaliste e addetti ai lavori sotto il post di Nadia Fusini - è sempre meno sopportata dalla stessa sinistra di festival e di potere che l'ha a lungo supportata. Troppo a lungo, in effetti (e per il significato della voce «amichettismo» si rimanda al programma della fiera Più libri più liberi, i cui invitati sono ideologicamente a senso unico).
Aveva ragione Fulvio Abbate, il quale ha sempre messo in guardia dall'equivoco-Valerio.
«È una caricatura dell'ambizione letteraria amichettistica che ha trovato sponde presso la sinistra culturale che al sapere e alla complessità ha sostituito gli unicorni, l'insignificanza della cultura manga e dei giochi di ruolo».Che è, più o meno, la stessa cosa che ha fatto la sinistra politica quando ha iniziato a sostituire le battaglie per i salari con quelle per gli asterischi.
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