La storia dello sport a stelle e strisce alle volte assomiglia alla sceneggiatura di un film hollywoodiano, specialmente se sembra inverosimile. Da quando oltreoceano la gente si è appassionata alle imprese dei propri campioni favoriti se ne sono viste davvero di tutti i colori. Vi abbiamo già raccontato delle varie maledizioni, degli improbabili carneadi saliti agli onori delle cronache ma queste storie all’insegna delle seconde opportunità talvolta ci mettono anni per arrivare all’inevitabile lieto fine.
Talvolta, però, le cose vanno molto più in fretta, trasformando un signor nessuno in una stella di prima grandezza nel giro di pochi giorni. Ecco perché questa settimana “Solo in America” vi porta di nuovo a New York per raccontarvi come un giocatore appena arrivato ai Knicks conquistò la Grande Mela in neanche un mese. Questa è la storia di Jeremy Lin, il panchinaro che divenne una superstar.
Da sconosciuto a superstar
Invece che in un passato color seppia, la storia di oggi non ci porta nemmeno tanto indietro nel tempo, poco più di undici anni fa, quando i New York Knicks, la squadra più prestigiosa del basket newyorkese, stava cercando di rimediare all’ennesima partenza di stagione sfortunata. Nessuno, a dire il vero, si aspettava che questo playmaker che aveva fatto discretamente con la maglia dei Crimson di Harvard potesse davvero fare la differenza al Madison Square Garden. Quando il 27 dicembre 2011 Lin firmò il contratto con New York, l’analista della ESPN Marc Stein non nascose le sue perplessità. “Non si sa quanto i Knicks terranno Lin; il suo contratto non è garantito quindi possono tagliarlo prima del 10 febbraio senza dover pagare il resto degli stipendi. Se Shumpert rientrasse dall’infortunio, tornerebbe in squadra come terzo play, lasciando Lim fuori dalla rotazione”.
Ci volle parecchio tempo prima che il coach dei Knicks, l’italo-americano Mike D’Antoni, si accorgesse del giocatore asiatico, mettendolo in campo per quasi tutta la partita il 4 febbraio 2012. I New Jersey Nets si aspettavano una passeggiata, visto che i Knicks avevano perso 11 delle precedenti 13 partite ma l’ex Scarpetta Rossa aveva in mente un’idea meravigliosa. Lin era irriconoscibile: mise ben 25 punti, sette tiri e cinque rimbalzi, abbastanza per trascinare la sua squadra alla vittoria. Per la prima volta si trovò di fronte alle telecamere, cercando di spiegare il perché di questo trionfo: "Questa serata non l’ho ancora metabolizzata a dire il vero. Sono sotto choc per tutto quel che mi è successo, sto cercando di godermela finché posso". Se la prima vittoria era sembrata un caso, quando i Knicks si trovarono davanti i Wizards, Jeremy Lin era nel mirino della critica. La prestazione che piantò contro Washington fu inequivocabile: i Knicks avevano finalmente trovato un giocatore da copertina.
L'addio di D'Antoni
A questo punto i solitamente feroci media newyorkesi fiutarono una bella storia ed iniziarono a parlare in termini sempre più entusiastici di questo giovane talento. Con l’aiuto di Carmelo Anthony e Amar’e Stoudemire, sarebbe stato proprio lui a riportare alla gloria i Knicks. Il 10 febbraio 2012, con New York impegnata in casa contro gli strapotenti Lakers di un certo Kobe Bryant, nessuno si aspettava che Jeremy Lin piantasse in faccia al Black Mamba 38 punti. La storia di New York si divide in quel che successe prima del 10 febbraio e quel che successe dopo. La Grande Mela si innamorò immediatamente di quel ragazzone timido e determinato, in maniera tanto travolgente da meritarsi un soprannome ad hoc, Linsanity, ovvero "Lin" e "insanity". Questa mania avrebbe raggiunto vette di entusiasmo assurde in pochissimi giorni, per la gioia dei Knicks.
Quattro giorni dopo, con New York impegnata in un tosto scontro in quel di Toronto, contro gli ottimi Raptors, la febbre per l’ex panchinaro di Harvard era già oltre ai livelli di guardia. Per non saper né leggere né scrivere, Lin piantò in faccia ai canadesi una tripla a fil di sirena, guadagnandosi un posto d’onore sulle prime pagine sportive. Nel giro di nemmeno un mese, Jeremy Lin era diventato una leggenda vivente, conquistando il cuore di una metropoli che si crede dura e pura. Nessuno sapeva che quello sarebbe stato lo zenit della meteorica carriera di Jeremy Lin al Garden. Neanche un mese dopo, con il playmaker sempre sulle prime pagine, Mike D’Antoni decise di averne avuto abbastanza delle critiche e delle sconfitte, dimettendosi dall’incarico.
I Knicks, nonostante un Lim in forma ed il rientro di Melo, avevano perso sei delle ultime otto partite. Qualcosa nella rosa non funzionava, i veterani non avevano apprezzato il fatto che un rookie si fosse preso le luci della ribalta e gli stavano giocando contro. Quando New York demolì Portland di 42 punti, Lin mise a referto solo sei punti e sei palle perse. Senza D’Antoni a difenderlo, il giovane play non riuscì a trovare spazio.
La fine del sogno
Nemmeno due mesi dopo l’inizio della striscia di vittorie coi Knicks, la franchigia annunciò che Jeremy Lin si sarebbe sottoposto ad un intervento in artroscopia per riparare un menisco danneggiato durante la tosta partita contro i Detroit Pistons della settimana prima. Nessuno si sarebbe immaginato che quella sarebbe stata l’ultima gara del playmaker per i Knicks. Dopo l’intervento, alcuni tifosi speravano che Lim ce l’avrebbe potuta fare a tornare sul parquet almeno nella post-season, nella serie contro i Miami Heat. Il playmaker dichiarò che il suo ginocchio era all’85%, spingendo molti a credere che avrebbe dovuto almeno spingere per essere reintegrato nella rosa, specialmente quando le cose con gli Heat si misero subito malissimo. Poco alla volta, il menisco di Lin sarebbe guarito, consentendogli di tornare ai livelli di una volta ma già a partire dal mese di maggio fu chiaro che la rottura vera, quella del tutto insanabile era un’altra. Alcuni dei veterani non avevano affatto apprezzato il fatto che tutti a New York non facessero che parlare di questo rookie, dimenticando del tutto il loro contributo alla causa.
Quando la stagione dei Knicks si concluse con l’ennesima delusione, le voci di un possibile addio di Jeremy Lin si moltiplicarono. Dopo aver giocato appena 35 partite, il giocatore di origine taiwanese era pronto a cambiare aria ma la questione si complicò non poco grazie ad una questione legale. I Knicks sarebbero stati in grado di pareggiare ogni offerta ricevuta da altre franchigie ma non c’era esattamente la fila davanti al loro ufficio. 14,6 punti e 6,2 assist non sono male come statistiche ma in così poche partite?
Un azzardo che in pochi erano pronti a prendersi, tranne gli Houston Rockets, che offrirono un contratto da 25 milioni di dollari in tre anni. La franchigia del Texas scelse una formula definita “backloaded”, che avrebbe costretto i Knicks a pagare un botto di tasse per liberare Lin ed il front office considerò perfino di rifiutare l’offerta. Alla fine a dare il colpo definitivo fu Carmelo Anthony, che definì l’offerta per Lin "ridicola". Il voto di sfiducia nei confronti del compagno di reparto fu la pietra tombale sul rapporto e un segnale molto chiaro. Il futuro di Jeremy Lin era lontano dal Madison Square Garden. Dal 19 luglio divenne un giocatore dei Rockets.
Houston, abbiamo un problema
Arrivato alla Pepsi Arena come il salvatore della patria, i primi mesi di Jeremy Lin nel South Texas non furono dei migliori. D’accordo, le partite della pre-stagione non contano ma il 28% dal campo non era proprio il biglietto da visita che molti si aspettavano da lui. Le cose si complicarono non poco il 27 ottobre 2012, quando Houston annunciò un trade per portare in squadra James Harden, un talento cristallino che avrebbe dominato il possesso palla in lungo e in largo. Non è dato sapere se qualcuno del front office avesse mai pensato di affidarsi completamente all’ex Knicks ma farsi spazio con uno come Harden sul parquet non sarebbe stato semplice.
Nelle prime 19 gare della stagione regolare Jeremy Lin rimase di gran lunga sotto i 20 punti, mettendo più di 10 assist solo tre volte: non male, intendiamoci, ma certo non un bottino da superstar. Il 10 dicembre, nel derby contro gli Spurs, Lin sembrò quello di una volta, piazzando ben 38 punti. Dov’era Harden? Fuori per infortunio, ovviamente. Come successo con Melo a New York, Lin aveva bisogno di sentirsi il peso della squadra sulle spalle. Quella sera sembrò di rivedere il vecchio Linsanity, aggressivo, capace di mettere pressione sulla difesa di San Antonio tutta la sera. I Rockets persero ma Lin dimostrò di essere ancora in grado di fare la differenza.
Peccato che, a parte la prima trasferta al Madison Square Garden, le altre prestazioni di Jeremy Lin furono del tutto dimenticabili. Nel gennaio 2013 i Rockets misero quattro vittorie di fila per poi perderne ben sette. Lin non riuscì a doppiare un ottimo dicembre dal campo, scivolando ad un 36% decisamente mediocre. A Houston ci si iniziò ad accorgere che i partitoni non erano la norma ma l’eccezione per Linsanity, un problema che l’avrebbe perseguitato per tutta la carriera. Alla lunga, però, Lin trovò l’amalgama col resto della squadra, mettendo un finale di stagione impressionante. Invece di lottare con Harden per prendersi la squadra, si accontentò del ruolo di numero 2, lavorando insieme al “Barba” in un finale da 14 vittorie e 9 sconfitte. Purtroppo per lui, in gara 2 della serie contro gli Oklahoma City Thunder, Lin si fece male e fu costretto a lunghi periodi in panchina, dietro a Patrick Beverley. Un finale pessimo di una stagione tutto sommato positiva, chiusa da un infortunio che mise in pericolo il suo posto nel quintetto base.
Sempre più in basso
Da lì in avanti, le cose sarebbero andate di male in peggio per Linsanity, tanto da far considerare il suo mese straordinario coi Knicks un caso. Dopo l’infortunio, nel 2014 finì in panchina, giocando sempre meno minuti ma specializzandosi nel ruolo di cecchino dalla distanza. Non fu abbastanza per conservare il posto a Houston, iniziando un peregrinare che l’avrebbe portato sempre più lontano. Dopo un anno ai Lakers di Kobe Bryant, Lin cercò spazio prima a Charlotte poi coi Brooklyn Nets, dove avrebbe ritrovato una buona media punti. Purtroppo, però, a salire furono anche gli infortuni, che gli fecero perdere metà della stagione 2016-17 e poi il problema al tendine che gli sarebbe costato l’intera stagione successiva. Nel 2018 Lin tornò in campo prima con Atlanta poi con Toronto ma senza mai riuscire a mettere più di qualche minuto a partita.
Dopo le delusioni, Lin provò a rifarsi una vita in Cina, giocando nel campionato professionistico con i Beijing Ducks. Dopo una partenza a razzo, ci si mise la pandemia a bloccare sul nascere la rinascita di Linsanity. Nonostante avesse segnato ben 36 punti contro Guangzhou e una media di oltre 20 punti a partita, la permanenza in Cina si rivelò più complicata del previsto, tanto da convincere Lin ad accettare l’offerta dell’affiliata dei Golden State Warriors nella G-League. Un finale piuttosto triste per uno dei giocatori più esplosivi degli ultimi vent’anni, che per qualche settimana sembrò in grado di conquistare tutto e tutti. Non durò molto, ma Linsanity sarebbe rimasto a lungo nei cuori degli appassionati di basket.
Un mese pazzesco
Non durò molto, ma la cosiddetta "Linsanity" fu un vero e proprio fenomeno epocale e non solo perché il 23enne fu il primo giocatore cinese-americano ad entrare nella NBA ma anche per il suo background religioso che lo ha fatto assomigliare ad un altro panchinaro di successo, il quarterback di Denver Tim Tebow. Per capire meglio questo mese pazzesco, niente di meglio che provare a tradurlo in numeri: messa così la “Linsanity” è ancora più incredibile. Il debutto di Jeremy Lin nella NBA fu assurdo: 136 punti in cinque partite, più di qualsiasi altro rookie dal merger tra NBA ed ABA del 1976, una media di 26,8 punti a partita nelle prims sei. Anche quando aveva la mano fredda, come contro Sacramento, i 13 assist erano in grado di trascinare verso la vittoria i Knicks. Non tutto è oro quel che luccica: anche quando la follia era in pieno effetto, le radici dei problemi futuri erano già visibili. Nelle prime cinque partite, Jeremy Lin perse 30 palloni, anch’esso un record nella NBA.
Ai tifosi dei Knicks importava quasi zero, tanto da spingerli a spendere cifre pazzesche per un biglietto: per un posto a bordo campo al Garden contro gli Hornets toccava spendere ben 3919 dollari. Anche i biglietti più economici, su in piccionaia, aumentarono in maniera pazzesca: se prima dell’entrata in campo di Lin si potevano trovare per 47 dollari online, al picco della mania costavano un minimo di 183 dollari.
Gli ascolti delle partite dei Knicks in televisione? Più 70%. Niente in confronto agli incassi che la franchigia prevedeva di fare grazie all’ex di Harvard: qualcosa come 50 milioni di dollari. Nonostante fosse meno diffusa di oggi, l’aumento dei followers di Lin su Twitter fu impressionante: da 28.505 il 1 febbraio a 349.124 pochi dopo, 37000 dei quali l’avevano seguito dopo la tripla a fil di sirena che aveva consegnato la vittoria ai Knicks.
Se possibile, le cose erano andate ancora meglio per Jeremy su Weibo, la piattaforma social cinese, dove era schizzato in pochi giorni sopra gli 850.000 followers. Pochi si sorpresero quando fu annunciato che buona parte del +650% in ricerche su Google per i Knicks veniva dall’isola di Taiwan. Tre sui dieci Google Trends del mercoledì furono legati al giocatore dei Knicks, tanto da fare schizzare a 1500 dollari il prezzo di un suo autografo su eBay. Prima della “Linsanity”, te li potevi aggiudicare per 29 dollari.
I Knicks provarono a capitalizzare il fenomeno in ogni modo, tanto da ordinare al proprio fornitore di magliette e cappellini ben 168.000 pezzi con la scritta “Linsanity” in bella evidenza. Non è dato sapere quante di queste magliette siano state regalate quando Lin decise di andarsene a Houston ma, comunque, queste poche settimane riuscirono a riportare l’entusiasmo tra la tifoseria dei Knicks – impresa non da poco.
Rimpianti? Qualcuno...
Ora che sono passati già più di dieci anni, Jeremy Lin vive nel demi-monde del basket semi-professionale ma ha avuto diverso tempo per passare alla cassa, mettendosi da parte una cifra non indifferente. Secondo il sito specializzato Spotrac, se nelle prime due stagioni coi Knicks Lin si portò a casa tra 500.000 e 760.000 dollari, il contratto coi Rockets fu decisamente più redditizio. Dopo il triennale da 25 milioni, 15 dei quali nel terzo anno (la cosiddetta “poison pill”), a Charlotte guadagnò molto meno, prima di firmare un contratto da ben 38 milioni coi Brooklyn Nets. Non cifre alla LeBron James ma nemmeno disprezzabili: giocando nella NBA e comportandosi con una certa cautela, Lin è riuscito a risparmiare o investire 36 dei 65 milioni incassati. Se dal punto di vista finanziario le cose sono andate alla grande, in un’intervista a Time, Jeremy ammette di avere alcuni rimpianti, cose che vorrebbe fare in maniera diversa.
“Non ho fatto abbastanza quando ero ‘Linsanity’ per aprire spazi alle nuove generazioni. A quei tempi volevo solo giocare a basket, quando mi ritrovai di colpo con tutti i riflettori puntati addosso. Quando giocavo coi New York Knicks non mi rendevo conto di quanto il sistema fosse marcio e quante ingiustizie mi circondassero. Non ho appoggiato quanto avrei potuto chi lavorava per portare avanti i diritti degli Americani di origine asiatica. È uno dei fallimenti più gravi della mia vita, una delle cose che rimpiango di più”.
Anche se ora gioca nella G-League e non ha più la risonanza di una volta, il playmaker non si dà per vinto. “Ho ancora gente che mi ascolta e credo che la situazione stia migliorando. Negli anni passati da quel periodo, la gente mi ha sfidato, mi ha fatto capire come andassero le cose. Ogni giorno provo ad imparare qualcosa, ascoltare di più e giudicare di meno. Se lottiamo insieme, credo che potremmo fare cose davvero importanti. Lo dobbiamo a chi ci ha preceduto, chi ha lottato per i nostri diritti di fare il meglio che possiamo. La storia è nelle nostre mani”.
Francamente, preferiamo ricordare Jeremy Lin mentre faceva impazzire il Madison Square Garden piuttosto che in questa versione molto woke ma tant’è. Pur di sopravvivere in una lega molto schierata come la NBA meglio non allontanarsi dal “messaggio”.
A parte tutto, la storia di come riuscì a far impazzire un’intera città è davvero incredibile. Non durò molto, ma la “Linsanity” ce la ricordiamo ancora tutti. E cose del genere, ovviamente, possono succedere solo in America...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.