A volte per passare dalle stelle alle stalle basta davvero poco: avere opinioni controverse, parlare troppo o mettersi contro ad un personaggio potente e spietato. Certo però non ti aspetti di vedere un campione dello sport costretto a scappare da un paese per evitare di essere ucciso da un sicario. La storia di come uno dei più grandi campioni del basket turco sia costretto ad una vita da esiliato, senza essere in grado di tornare a visitare parenti ed amici da più di 10 anni, è una delle vicende più assurde tra le tante che circondano lo scintillante mondo dello sport. Il protagonista di questa vicenda è una delle stelle della Nba, l’ex Boston Celtics Enes Kanter Freedom, che si è ritrovato dalla parte sbagliata di una vera e propria taglia sulla sua testa, emessa dal governo turco di Erdogan. 10 milioni di lire turche, più o meno mezzo milione di euro, ufficialmente per la sua cattura ma probabilmente validi anche nel caso qualcuno decida di farlo tacere per sempre. Eppure il cestista ribelle non si pente di nulla e si dice pronto a continuare a rischiare tutto pur di denunciare i soprusi del regime filo-islamico che da anni sta reprimendo la voglia di democrazia del popolo turco.
Il campione dalla schiena dritta
In un’intervista al programma della Fox News “Varney & Co” il veterano della Nba ha ribadito come le minacce del regime di Erdogan non riusciranno a fargli piegare la testa. "Sto cercando di dare la voce a quelli innocenti che non possono parlare. Potrebbe costarmi la carriera, la famiglia, tutto quello che ho ma so che, alla fine, sto facendo la volontà di Dio. Ne vale la pena, lo rifarei ancora". La notizia della taglia sulla sua testa gli è arrivata mentre stava tenendo un camp di basket al Vaticano, con l’FBI che lo invitava a tornare immediatamente negli Stati Uniti. Telefonate da parte di "amici turchi" gli avevano fatto sapere che pur di ingraziarsi il regime turco la criminalità organizzata avrebbe colto l’occasione di toglierlo di mezzo. Kanter, in un’intervista alla star dei talk show politici americani Tucker Carlson ha ricordato come non sia l’unico ad essere stato preso di mira da Erdogan: "Ci sono tanti giornalisti, accademici, professori e celebrità dello spettacolo nella sua lista nera".
Il cestista ha poi chiesto esplicitamente all’amministrazione Biden di affrontare il problema sul serio e "dare priorità ai diritti umani" invece di far finta di non vedere i problemi creati dal “sultano” turco. "Ci sono tanti prigionieri politici in galera che aspettano l’aiuto dell’Occidente, bisogna darsi una mossa. Tanti, come me, non vedono i propri familiari da quasi dieci anni". Le minacce verso Kanter ed i tanti sostenitori del movimento Hizmet, guidato dal predicatore Fethullah Gülen, continueranno di sicuro ma il campione di basket è convinto che, una volta liberatasi dal regime islamista, la Turchia potrà tornare ad essere il "ponte tra Oriente e Occidente" che è sempre stata.
Per la libertà, senza se e senza ma
Fin da quando debuttò nella Nba nel 2011, il centro turco nato a Zurigo si è fatto notare subito per le sue dichiarazioni poco diplomatiche, ma la situazione è degenerata nel 2016 quando, dopo il fallito golpe militare, criticò apertamente Erdogan. Dalle minacce di morte si passò poi alle vie di fatto: il 20 maggio 2017, il giorno del suo 25° compleanno, si rese conto che i suoi documenti erano stati invalidati dallo stato turco. Pochi giorni dopo fu accusato dal governo di far parte di un gruppo terroristico e gli venne revocata la cittadinanza, rendendolo in pratica un apolide. L’anno dopo esser stato rinviato a giudizio, suo padre fu condannato a 15 anni di carcere. Kanter, vista la mancanza di un passaporto valido, fu costretto a rimanere negli Stati Uniti, visto che nel 2019 la Turchia ne aveva richiesto l’arresto all’Interpol. Il suo profilo di nemico pubblico del regime ha spinto la televisione turca ad oscurare le finali della Western Conference del 2019, per paura che dicesse o facesse qualcosa contro il regime.
Dopo il rilascio del padre, il 29 novembre 2021 è diventato cittadino americano, cosa che ha convinto Erdogan ad alzare ancora il tiro pur di ridurlo al silenzio. Kanter, che ha insistito perché al suo cognome fosse aggiunta la parola Freedom, libertà, non ce l’ha solo con i nemici di casa sua ma è un’attivista a tutto tondo. Vegetariano, impegnato a sostenere i diritti degli animali, si è anche trovato diverse volte contro al politically correct e a certi affari discutibili portati avanti da giocatori di basket e dalla stessa NBA. Quando si tratta di diritti umani, Kanter non ha davvero peli sulla lingua.
Mentre Lebron James faceva affari d’oro con aziende collegate al Partito Comunista Cinese, il centro dei Celtics lo prese a male parole sui social, facendo notare a tutti come il suo interesse per i più deboli perdesse d’intensità di fronte ai corposi assegni in arrivo da Pechino. Vedi sopra quando la Nba impose il silenzio sugli enormi problemi legati ai diritti umani del regime cinese. Mentre altri cestisti facevano finta di niente, lui usò le sue scarpe da gioco per mandare messaggi inequivocabili al presidente a vita Xi Jinping sul trattamento atroce riservato alla comunità musulmana degli Uiguri. Difficile da provarsi, ma Kanter si dice sicuro di aver pagato di tasca propria, dalla sponsorizzazione della Nike svanita nel nulla allo stesso fatto che i Boston Celtics non gli abbiano rinnovato il contratto dopo una buona stagione in campo.
Il precedente? Hakan Sukur
Per quanto paradossale, la vicenda di Kanter non è affatto isolata. In Turchia c’è almeno un altro campione ad aver subito una sorte forse ancora peggiore, l’ex calciatore dell'Inter Hakan Sukur. È talmente inviso al regime da aver causato il licenziamento di un telecronista della tv di stato TRT che aveva osato nominarlo in diretta. Lo scorso 1° dicembre, quando Ziyech portò in vantaggio il suo Marocco contro il Canada, il telecronista Alper Bakircigil ricordò che il fulmineo gol dell’avanti del Chelsea aveva battuto il record di velocità ai mondiali, stabilito dal calciatore turco nel 2002. Nel giro di pochi minuti fu costretto ad uscire dalla cabina di commento, raccogliere i suoi effetti personali e scortato fuori dal palazzo della TRT: licenziamento in tronco, senza possibilità di ricorso, solo per aver nominato il gran nemico del sultano. L’ex presidente del consiglio Mario Draghi aveva definito Erdogan un "dittatore di cui però si ha bisogno", il che spiega perché la vicenda dell’ex interista sia ben poco conosciuta alle nostre latitudini.
E pensare che Sukur aveva iniziato la carriera politica proprio nel partito del sultano, con il quale aveva ottimi rapporti prima di una fatale inchiesta sulla presunta corruzione di Erdogan e alcuni stretti collaboratori. Le cose andarono di male in peggio fino a quando nel 2016 fu addirittura costretto a rifugiarsi con la famiglia negli Stati Uniti. Ricercato dalle autorità, il bomber più importante della storia della nazionale turca è stato praticamente cancellato dalla memoria e dalla vita sociale del paese a cavallo tra Europa e Asia. Come nel caso di Kanter, anche lui è stato condannato a 4 anni di reclusione per "appartenere ad un gruppo terroristico armato" e per "insulti" lanciati via Twitter ad Erdogan. Anche nel suo caso a finire in galera per 3 anni è stato suo padre, dopo il sequestro dei beni della famiglia. Sukur ha provato a rifarsi una vita in America ma non ha avuto fortuna. Ora fa il tassista in California, nella Silicon Valley.
Difficile sapere se anche Kanter farà la sua stessa fine, visto che parla un ottimo inglese ed è diventato una personalità mediatica oltreoceano. Una cosa è certa: fino a quando ad Ankara regnerà il sovrano, dovrà sempre guardarsi le spalle. Eppure Enes Kanter Freedom continua ad andare avanti a testa alta, senza paura, deciso a rimanere fedele ai propri principi. Comunque la pensiate, davvero strano che questo sportivo di alto livello disposto a rischiare la vita per i diritti dei meno fortunati sia quasi sconosciuto mentre il mondo si sdilinquisce di fronte alle sparate social di tanti bamboccioni strapagati.
Magari se anche dalle nostre parti ci fossero più campioni disposti a rischiare in proprio per i propri ideali le cose anche nella gabbia dorata dello sport potrebbero andare meglio. Pia illusione, forse, ma, in fondo, sognare non costa niente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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