Da Italia Germania 4-3, la superclassica dello sport è sempre stata la sfida tra queste due nazioni e il 1983 è l'anno in cui a contendersi il primato furono i motori di Audi (strafavorita assoluta) e Lancia (allo sbaraglio). Non è spoiler dire che ha vinto il meno quotato italiano grazie alla sua... italica creatività. Laddove insomma i motori nulla potevano - Audi aveva già sperimentato le quattro ruote motrici mentre Lancia si affidò alla trazione posteriore per l'ultimo anno nella storia dell'automobilismo - subentrava quel fantastico modo di interpretare i regolamenti con la fantasia di chi scova un segreto nelle pieghe delle norme. Quello che non è vietato è concesso.
Race for glory è il racconto romanzato di quella stagione appassionante, che sul grande schermo perde un po' di appeal, forse perché le quattro ruote sono meno cinegeniche, per esempio, del pugilato e, per trovare un film davvero competitivo con il ring, bisogna retrocedere al 2013 quando uscì Rush di Ron Howard-Ricky Cunningham sulla rivalità tra i compianti Lauda e Hunt. Ecco, il prezzo più alto pagato da Race for glory è proprio nel pochissimo pathos che trasmette, insieme a un dettaglio. Nessuno dei protagonisti del film assomiglia pallidamente nella fisionomia ai relativi referenti nella realtà. Scamarcio non ricorda Fiorio come Daniel Brühl è lontano da Roland Gumpert. E via elencando.
Per carità, non è obbligatoria la rassomiglianza fisica. Non siamo a Hollywood, bellezza.
Tuttavia ai diversamente giovani in platea, che quegli anni li ricordano benissimo come pure i relativi protagonisti, è richiesto uno sforzo di attenzione per assimilare volti di ieri a nomi - che non c'entrano - di oggi. Per il resto, due ore di sano sport, belle macchine, competizione dura ma rispettosa, educati sberleffi e l'Italia che vince si vedono sempre volentieri.
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