Belgrado manda a processo Karadzic Ma lui si ribella: «Questa è una farsa»

Interrogatorio notturno di quattro ore per il «macellaio dei Balcani». Il difensore accusa: la cattura mantenuta segreta per tre giorni. Il governo ha già deciso di consegnarlo al tribunale dell’Aia

Con la sua identità segreta di medico Radovan Karadzic non solo collaborava abitualmente con la rivista specializzata Healthy Magazine, ma avrebbe partecipato anche a numerose conferenze. Perché nessuno a Nuova Belgrado, quartiere residenziale della capitale serba, nel vederlo nascosto dietro quella folta barba e dietro il nome di Dragan Dabic, si sarebbe mai aspettato di poter trovare «il macellaio dei Balcani», com’era soprannominato. Né i suoi pazienti, né chi per ultimo gli aveva affittato un appartamento. Nessuno aveva saputo riconoscere in quell’uomo magro che girava tranquillamente per le strade di Belgrado un accusato di genocidio e crimini contro l’umanità su cui pendeva una taglia da 5 milioni di dollari latitante dal 1995.
Ed è solo uno dei particolari emersi dalla ricostruzione fatta dal procuratore Vladimir Vukcevic nel raccontare, per quanto possibile, l’arresto dell’ex presidente della Repubblica serba di Bosnia. «Eravamo sulle sue tracce da alcuni giorni - ha spiegato il magistrato dopo un interrogatorio durato dalle due e mezzo alle sette di ieri mattina -. Avevamo individuato qualche fiancheggiatore e ieri, mentre si spostava da un luogo all’altro, abbiamo effettuato il blitz nella massima sicurezza». Forse su un autobus, come sostiene l’avvocato difensore dell’ex arruffapopolo di Pale, la cui versione, che parlava di un arresto venerdì da parte dei servizi segreti a cui sarebbero seguiti tre giorni di cella, è stata però ufficialmente smentita dalle autorità serbe.
Che, nella notte di ieri, hanno avuto il loro bel da fare: oltre quattro ore di interrogatorio, dalle due e mezzo alle sette del mattino, senza ottenere tuttavia grandi soddisfazioni da Karadzic, che si è trincerato dietro il silenzio, d’accordo con il suo legale. Dopo l’interrogatorio da parte del giudice istruttore, è subito arrivata la scontata decisione di Belgrado di mandare «il macellaio dei Balcani» al Tribunale penale internazionale perché venga giudicato per i crimini commessi durante la guerra. «Questa situazione è una farsa - ha detto Svetozar Vujakic, l’avvocato del ormai ex latitante -. Non posso che condividere la decisione di non rispondere del mio assistito e anche il suo sciopero della fame. E ovviamente intendiamo fare di tutto per impedire il suo trasferimento al Tpi». Ora dunque il sessantatreenne criminale serbo, a cui ieri è stato permesso di incontrare il fratello, ha tre giorni per ricorrere contro la decisione dei giudici, che a loro volta avranno altri tre giorni per prendere un provvedimento definitivo ed esecutivo. E a riguardo il ministro Rasim Ljajic, responsabile del governo di Belgrado per la cooperazione con il Tribunale dell’Aia, non sembra avere dubbi: Karadzic sarà trasferito. E poco importa che ieri, a contraltare di una Sarajevo in festa per l’arresto dell’uomo che l’aveva fatta tenere sotto assedio per 43 mesi, nella capitale serba circa 200 militanti del movimento ultranazionalista extraparlamentare Obraz (Faccia) si siano riuniti in piazza della Repubblica, dove hanno manifestato duramente contro la cattura dell’ex leader serbo-bosniaco. Per disperderli è dovuta intervenire la polizia, che ha anche arrestato tre persone.
Su come l’arresto sia stato possibile, però, resta ancora il giallo. C’è chi dice che il nuovo governo di Belgrado abbia voluto dare un segnale di distensione all’Europa.

C’è chi invece ritiene che, proprio per le pressioni del governo, gli ambienti che proteggevano Karadzic e che ancora proteggono Ratko Mladic, dovendo scegliere fra i due qualcuno da sacrificare abbiano deciso per l’ex politico, piuttosto che per il generale, vero simbolo dell’orgoglio serbo ancora ricco di agganci nell’esercito. Ma anche per lui sembrano vicini alla fine i giorni della latitanza: il governo di Belgrado ha lanciato un ultimatum invitandolo a consegnarsi.

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