Benedetti Michelangeli s'intona a tutte le arti

Le opere di Livio Conta e le fotografie di Enrico e Luca Pedrotti mostrano il genio del pianista

Benedetti Michelangeli s'intona a tutte le arti

«L'anima (la fiamma e la favilla sono suoi simboli) splende. Questa è l'aura. E si parla di irradiazione, di personalità splendide, di anime raggianti. E splendenti raggi dell'anima pervadono il mondo». Sono parole di Oswald Splengler in Urfragen. Essere umano e destino. Mi sembra che in esse si specchi l'esperienza ascetica di Arturo Benedetti Michelangeli. Il grande e misterioso pianista che interpretò in modo impareggiabile Debussy, Scarlatti, Chopin, Bach, Ravel, Mozart, Clementi, Schumann, Galuppi, Beethoven, Grieg, Brahms, Rachmaninov. Gli furono talvolta contestate una certa ritrosia nel concedersi al pubblico (i suoi concerti si fecero sempre più rari col passare degli anni), ma ogni sua interpretazione era un rito mistico e ascetico, una esperienza irripetibile.

La bella mostra delle fotografie di Enrico e Luca Pedrotti e dei ritratti, disegni e sculture di Livio Conta, a Palazzo Libera di Villa Lagarina, ci consegna l'immagine di un uomo solitario e pensoso che dialoga con uno strumento musicale affidandogli, attraverso le mani, la propria anima. La complessità della sua esperienza è spiegata bene da Vittorino Andreoli che coglie dell'interprete l'ossessività e la ricerca della perfezione: «l'identità di Michelangeli è il pianoforte, non nel pianoforte, poiché egli è il pianoforte. La scordatura di un tasto equivale a un difetto della propria mano, un suono impuro è una anomalia del cervello e delle sue funzioni. Una tale identificazione ha portato a riversare il mondo dentro i suoni della musica che per lui usciva dalla propria mente. Ma, ad esprimerla, era il pianoforte. Lo possiamo chiamare il suo sé: il mondo attraverso cui si mostrava e si comportava. Tutto ciò che non è pianoforte è una decorazione, qualcosa di esterno, di non necessario».

Questa identificazione, questa concentrazione, questo universo chiuso sono perfettamente raccontati nelle fotografie di Enrico e Luca Pedrotti, che interpretano Benedetti Michelangeli come lui interpretava Chopin o Beethoven. E preziosa anche l'amicizia di Livio Conta, espressa nella serie infinita di disegni che rendono umano il mito. Grande è stato l'impegno di Sonya Beretta e di Giacomo Fornari nel rappresentare l'ambiente ideale per la spiritualità di Benedetti Michelangeli a Bolzano e in Trentino, in val di Rabbi, a fianco della Val di Sole, con il coro della Sat, i canti di montagna che raccontano le antiche leggende alpine dell'amore e della guerra. È una condizione naturale, inevitabile, un'affinità profonda, il dispendio dell'anima che si specchia nel silenzio della natura. Tutto è ordinato, tutto è perfetto nell'interpretazione di Benedetti Michelangeli, che contrasta anche la leggenda e il mito della perfezione cui è legato il suo nome: «non so cosa voglia dire, è una parola che non ho mai capito: per me perfezione significa limitazione». Qui è la risposta di una vita ritirata ed esibita, la contraddizione nella quale è vissuto Benedetti Michelangeli, fino a diventare il simbolo stesso, imperturbabile e turbato, della musica e del pianoforte. Da queste fotografie e da questi disegni esce un personaggio irripetibile.

Belle sono le ricostruzioni di una appassionata interprete dell'interprete com'è Sonya Beretta: «In alcuni ritratti Michelangeli appare seduto e solenne sul trono della musica, come il Pensieroso Lorenzo de' Medici michelangiolesco sul proprio trono, entrambi circondati da un'aura melanconica. Fotografo e Rolleiflex si avvicinavano al pianista con riserbo, impostando i tempi e il diaframma. La prima volta, racconta il fotografo, era rimasto bloccato con la macchina in mano senza scattare una foto, incantato dall'esecuzione al pianoforte, così perfetta da provare un brivido. Benedetti Michelangeli suonava tutto a memoria, senza spartito, sceglieva il brano, il fotografo si limitava a chiedergli unicamente di suonare una musica lenta, lui interpretava Debussy o Bach. Il fotografo ricorda un memorabile Concerto italiano di Bach, come un film al rallentatore. Lui era lì, suonava per il suo pubblico fatto di una sola persona, che addizionava piacere a piacere: lo fotografava! Circondato dalla musica. Per immortalare certe pose non c'era bisogno di disturbare il pianista, di chiedergli di prepararsi allo scatto, di pregarlo di cambiare la postura, avrebbe interrotto l'atmosfera. Bastava aspettare l'istante, una combinazione, una rivelazione, sfiorare il visibile con la punta dello sguardo».

La bravura di Benedetti Michelangeli spicca fin dalle registrazioni dal vivo del Concerto n. 5 di Beethoven (Milano, La Scala, 24 novembre 1947) e del Concerto op. 54 di Schumann (New York, Carnegie Hall, 21 novembre 1948). La tensione virtuosistica è molto forte nel Concerto di Beethoven ed è addirittura spasmodica in quello di Schumann, fors'anche perché il direttore è un dionisiaco come Dimitri Mitropoulos. I passi più ardui del Concerto di Schumann, scritti da un non-pianista e perciò non perfettamente idiomatici, vennero risolti da Benedetti Michelangeli con una facilità e una spavalderia tali da lasciare attonita la gente del mestiere. Si metteva in concorrenza con Horowitz, dominatore insieme con Rubinstein della scena statunitense, e reggeva il paragone sotto l'aspetto sia del virtuosismo di bravura sia del lirismo, con una declamazione da melodramma italiano che metteva i brividi. Che metteva sì i brividi al pubblico ma che fu giudicata impropria dalla maggior parte dei critici, tanto che la tournée non fu trionfale: talché, dopo una seconda e più breve tournée nel 1950, Benedetti Michelangeli non tornò più negli Stati Uniti fino al 1966.

Questa mostra e questo catalogo del Mart, con tanti lampeggianti contributi, non sono soltanto una testimonianza importante per Benedetti Michelangeli, ma anche un

tesoro di racconti, idee, suggestioni che non ci consegna una statua, ma un uomo vivo. La cosa più sorprendente di Benedetti Michelangeli è che, nella memoria che ci lascia, ha vinto la morte. La sua musica vive, lui c'è.

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