Il bengodi degli uomini-bambini

Un tempo si diceva, con sospiroso rimpianto: «Non ci sono più gli uomini di una volta». Oggi la frase andrebbe corretta così: «Non ci sono più gli uomini», tout court. E sapete perché? Perché gli uomini sono diventati bambini. Un fenomeno che non ha nulla a che vedere col candore della fanciullezza. No, è proprio che gli adulti rimbambiscono, letteralmente, da «rin-», prefisso che indica con valore di opposizione il ritorno a una fase anteriore, e «bambo», sostantivo che nel secolo XIII designava il bambino ma ai nostri giorni sta per sciocco, cosicché il verbo rimbambire ha assunto quest’unico significato: istupidire, rincretinire, perdere la capacità di ragionare.
Ma li avete visti gli spot che da qualche tempo vanno in onda prima del telegiornale, cioè del principale appuntamento per il pubblico maggiorenne? Trattori da collezione: l’agricoltura arranca, nessuno è più disposto a sacrificarsi nei campi, eppure vedi questo padre di famiglia festoso che comincia dal Super Landini la raccolta di modellini in scala 1:43. Costruisci e pilota la tua Alfa Romeo: niente di più facile, anche senza patente, si tratta di una macchinina, una 156 Super 2000 radiocomandata. Calcio-balilla Mundial ’82: costruisci un vero calcio-balilla e sfida gli amici a casa tua. Fiat 500 Story: per celebrare alla grande il ritorno dell’utilitaria più piccola. L’arte della calligrafia, «per imparare, passo dopo passo, tutte le tecniche e i segreti della bella scrittura», proprio adesso che tutti usano il computer e, per dirla come la dicono dalle mie parti, financo gli studenti universitari sono incapaci di «far “o” col cul del goto», cioè di tracciare la vocale aiutandosi col fondo del bicchiere.
Mi chiedo come sia possibile, nella patria della guapperia, inventarsi Coltelli tradizionali e da lavoro. Deve trattarsi di un omaggio postumo a Sergio Corbucci e al suo pescivendolo Nino Petroni, detto Er Più, interpretato da Adriano Celentano. Però mi risulta che il telepredicatore con le sospensioni sia già impegnato nell’hobby dell’orologeria, che era il suo mestiere prima di darsi al canto, per cui non me lo vedo correre all’edicola per 105 settimane filate a procurarsi i fascicoli con allegato un coltello tradizionale o uno da lavoro, e poi i quattro raccoglitori per archiviare i fascicoli, e infine gli otto mobiletti espositori da 19,90 euro cadauno. Per fortuna a ristabilire l’ordine, sul versante della legalità, è prontamente intervenuta la collezione Carabinieri: 70 modellini, dalla Lancia Aprilia livrea blu del 1939 all’Iveco Ducato Maxi antisommossa del 1995.
Si dirà che il collezionismo è sempre esistito e il modellismo pure. Già. E personalmente non ho niente né contro l’uno né contro l’altro. Certo, devo confessare che mi lasciò assai perplesso, un quarto di secolo fa, la scoperta che il mio caposervizio nel giornale di provincia dov’ero stato assunto, un omone di solidità contadina che si fingeva burbero per paura d’apparire debole, aveva trasformato la cantina della sua villetta in un diorama perfetto dello sbarco in Normandia. Ci dedicava intere mattinate (allora nei giornali si lavorava di notte) e credo che m’avesse invitato a pranzo più per mettermi a parte dell’hobby segreto che per farmi conoscere la famiglia. E comunque il suo approccio alla materia si nutriva di un rigore da filologo: ogni anno si recava in pellegrinaggio sulle spiagge del D-day a trarre nuova linfa per le sue ricostruzioni belliche casalinghe. Mai si sarebbe accontentato della paccottiglia che intasa le edicole.
Ma oggi? Oggi è la vastità dell’offerta omogeneizzata a stupire, non meno dell’insistenza con cui la medesima viene reclamizzata. Mai visto nulla di simile in passato. Molte di queste collezioni sono già alla seconda o terza edizione, segno che vendono parecchio. C’è Il tuo acquario con l’«anforetta e retino», ma senza pesci. C’è The dog collection con i cuccioli di cane in miniatura, i collarini, il guinzaglio e persino la cuccia per i peluche. C’è Facilmente perline con il set per creare collane, orecchini, bracciali e il bauletto di cartapesta in cui riporli. C’è Rosari e corone devozionali, opera supervisionata da don Giovanni D’Ercole, e magari l’ubiquitario prete bello che si divide fra Santa Sede, Telepace, Raidue e Hachette Fascicoli potrà illuminarci sulla differenza che intercorre fra i primi e le seconde.
Ho scoperto che una catena di minimarket rivende per pochi centesimi di euro le rese delle edicole normalmente destinate al macero: collezioni di bigiotteria etnica, bicchieri della birra, finti vetri di Murano, penne stilografiche, carillon delle favole, orologi da tavolo in miniatura. Questo significa che s’è creato un nuovo, amplissimo mercato: quello degli adulti-bambini, appunto. M’intriga. Vorrei capire qual è l’identikit del cinquantenne che costruisce orologi a cucù e radio d’epoca a valvole, acquistando i kit a rate dal giornalaio. O della quarantenne che compra tutti i numeri della casa delle bambole.
D’accordo, le abitazioni degli italiani sono sempre state onuste delle «buone cose di pessimo gusto» descritte da Guido Gozzano, e fra queste la bambola collocata in camera al centro del letto matrimoniale, magari adagiata su un centrino fatto a uncinetto con gli schemi di Rakam o Mani di fata, è sempre stata un must. Ma che valore può avere Orologi d’epoca, un ossimoro in 120 uscite che promette 120 cipolloni da tasca fatti ieri, a 9,95 euro l’uno, da allineare nella solita vetrinetta da 19,90? Con 1.213 euro sono sicuro che il nostro Giampiero Negretti riesce a procurarsi un orologio d’epoca vero, destinato a durare nel tempo.
Del resto già Giovanni Pascoli s’era accorto che in un cantuccio dell’anima d’ognuno di noi sonnecchia un fanciullino e io ne ebbi la riprova quando collaboravo all’Europeo e accompagnai il direttore Lanfranco Vaccari in visita a Gardaland col figlio decenne. Nel parco di divertimenti il nostro sollazzo più grande – di Vaccari e mio, intendo – fu osservare un manipolo di suore urlanti di gioia che scendevano a scapicollo le rapide del Colorado Boat, la stessa attrazione che un mese fa ha allietato un ministro della Repubblica, Giovanna Melandri. Il paradosso della scenetta consisteva negli applausi che un gruppo di giovani disabili riservavano alle monache in libera uscita: le reverende madri, ritornate per dieci minuti figlie, non s’erano fatte scrupolo di lasciarli parcheggiati sulle carrozzelle nel piazzale.
Ma qui è tutta una filiera industriale che sta prosperando per il solo fatto d’essersi messa al servizio di questi bimbi recidivi travestiti da adulti. Essa spazia dalle suonerie dei cellulari (mi dicono che le più gettonate new entry sono il pulcino che pigola e il porcellino che balla sul display cantando «Sono un vecchio maiale» sull’aria di Se mi lasci non vale di Julio Iglesias) ai griffatissimi mobili moderni, come la sedia a forma di elefante che celebra i 100 anni della nascita di Charles Eames e lo specchio di Andrea Rauch sagomato sulla testa di Topolino. Come osservava il filosofo psicoanalista Umberto Galimberti domenica scorsa su Repubblica, «oggi la tendenza del designer è quella di abolire la differenza tra adulto e bambino, arredando le camere dei bambini con oggetti dal significato adulto quando non velatamente sessuale, e i soggiorni degli adulti con arredi infantili che segnalano la fatica di crescere se non addirittura il rifiuto». Sosteneva anche, il professor Galimberti, che il sesto comandamento nella versione originale non recita «Non commettere atti impuri», bensì «Non mescolare le cose». E aggiungeva: «“Non mescolare le cose” significa che l’adulto deve fare l’adulto e non il bambino, e deve affidare agli oggetti che dispone nella casa le tracce visibili di questa differenza».
Perciò, signori rimbambiti, via le bambole, via il calcio-balilla, via le teche con le moto Guzzi dell’Arma, via le Lancia d’epoca.

Via tutto, tranne «la collezione delle mitiche Ferrari, i 20 modellini in metallo, scala 1:43, stradali e da competizione» che La Repubblica e L’Espresso offrono a partire da oggi, «prima uscita a soli euro 4,90». Va va vroom!
Stefano Lorenzetto
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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