Lunghi applausi ieri sera per il film di apertura in concorso della 19ª edizione della Festa del Cinema di Roma. Una replica di quanto successo in mattinata nella proiezione stampa, in genere più ostica. Trattasi di oggettivo consenso verso un buon film, quale certamente è Berlinguer - La grande ambizione, o va registrato un surplus di emozione anche per i bei tempi andati?
Diciamo che il film di Andrea Segre, dal 31 ottobre nelle sale con Lucky Red, con Elio Germano (nella foto) che interpreta con la giusta distanza il segretario del più grande partito comunista occidentale, è costruito perfettamente per fare un santino (senza accezione negativa) di Enrico Berlinguer ritratto nei cinque anni - dal 1973, quando sfuggì a Sofia a un attentato dei servizi bulgari e in Cile saliva al potere Pinochet, al marzo del 1978 con l'assassinio, da parte delle Brigate Rosse, del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro (un compassato Roberto Citran) - in cui ha lavorato al cosiddetto «compromesso storico» e in cui parla di uguaglianza e giustizia sociale girando l'Italia, incontrando tutti, sempre con la sigaretta in mano e con un conciliante retrosorriso.
Il film di Andrea Segre in questo senso è un biopic sui generis perché non drammatizza nulla, riduce la grande storia a cassa di risonanza negli scambi familiari affettuosamente ritratti (ci sono, da protagoniste, la moglie Letizia Laurenti/Elena Radonicich, le figlie Bianca/Alice Airoldi e Maria/Giada Fortini, e più sfuocato il figlio), traduce i discorsi che Berlinguer prepara in monologhi con la voce fuori campo di Germano, inserisce didascalie precise sui vari e tanti politici coinvolti (tra i quali Andreotti, accreditato di una battuta sbagliata sul «senatore Carter», che il presidente degli Stati Uniti non è mai stato), scrive cartelli con le annotazioni storiche, zooma sui titoli dei giornali di partito come l'Unità e Rinascita e, soprattutto, utilizza i filmati d'archivio (ai funerali di Berlinguer vediamo insieme Fellini, Vitti, Mastroianni, Scola...) così ben bilanciati con la narrazione di finzione grazie all'esperienza documentaristica del regista, al montaggio di Jacopo Quadri e alla splendida colonna sonora di Iosonouncane.
Certo sono gli stessi identici anni in cui il Pci combatteva contro la tv a colori oppure sottovalutava, all'inizio, le Brigate Rosse come «compagni che sbagliano». Ma la sceneggiatura, scritta dallo stesso regista con Marco Pettenello, nato a Padova, la città dove Berlinguer morì 40 anni fa per un malore durante un comizio, dovendo fare delle scelte non li menziona. «Avevo letto Eppure il vento soffia ancora di Piero Ruzzante e mi è sembrato incredibile che il cinema italiano non avesse raccontato Berlinguer e un terzo degli italiani che avevano vissuto intorno al Pci. Ma non volevamo fare un biopic, così abbiamo circoscritto il racconto a quei cinque, importanti, anni», racconta il regista che sarà ospitato al Quirinale il 18 novembre con la famiglia Berlinguer e il cast, per la proiezione del film voluta da Sergio Mattarella.
Elio Germano tiene invece a sottolineare che «tutti i personaggi sono stati caratterizzati solo con qualche dettaglio per
meglio approfondire i discorsi di cui erano portatori. Ma certo la prossemica di Berlinguer raccontava bene un senso di inadeguatezza, di fatica, il peso della responsabilità, la mancanza di attenzione per l'esteriorità».
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