Con Berlusconi, contro il partito delle tasse

Domani, allora, si va in piazza a Roma per far capire, con l’imponenza e la serietà di una consapevole partecipazione, che il Paese, la società italiana rifiuta la falsa cura che il governo del professor Prodi vorrebbe propinare sotto forma di Finanziaria. Una terapia pericolosa, debilitante, anzi mortifera, che stroncherebbe un cavallo nel pieno delle forze e che a maggior ragione può schiantare un sistema produttivo e una collettività nazionale reduci dai gelidi rigori di una congiuntura internazionale negativa. Tasse, balzelli, poi di nuovo tasse e ancora tributi, in un contesto di controlli fiscal-polizieschi che non hanno riscontro in nessun Paese democratico. L’esecutivo guidato da un leader senza carisma e senza partito ha subito l’impostazione di una sinistra radicale che, per antica deformazione ideologica, non sa fare altro che punire il benessere, il merito, la volontà e la capacità di fare ovunque si manifestino o minaccino di radicarsi; a quella sinistra non interessa aiutare i poveri a migliorare la loro condizione, l’importante è abolire i ricchi, veri e presunti, schiacciando tutti verso il basso. Prodi ha pagato i suoi debiti politici agli «antagonisti» che si vantano di essere i suoi pretoriani e ostenta, come altri sconfitti, un’«orgogliosa sicurezza», ma in realtà teme la manifestazione di domani, che darà una plastica e viva rappresentazione della solitudine e della lontananza del premier dimezzato. Prodi, che già si è esibito in infelici arditezza psichiatriche ( il «Paese impazzito») sostiene che chi scende in piazza «non ha cervello», ma di questo passo finirà nel neurodeliri della politica. Sappia il Professore che quella piazza, che altre volte ha vezzeggiato e promosso, non è una privativa della sinistra e di quei falsi moderati che la sinistra supinamente inseguono; la piazza, quando è usata con civiltà e rispetto, è uno spazio morale e civile della democrazia, resta l’agorà della tradizione occidentale, senza tumulti, senza violenza, come anfiteatro di un pensiero politico condiviso che coralmente si dispiega e si manifesta con vigore. Già, ci voleva quel diavolo di un Berlusconi per dare i moderati veri, ombrosi e ritrosi come tutti gli individualisti irriducibili – anche se provvisti di cuore e di sensibilità sociale – il gusto di ritrovarsi, tutti insieme, e di mostrarsi. La piazza è di chi ha qualcosa da dire e oggi i moderati, soprattutto il ceto medio contegnoso e decoroso, bistrattato e deriso, ha qualcosa da dire. Perché non si può azzoppare un Paese come un cavallo troppo mordace, né si può comprimere la vitalità di una società antica e sapiente nelle caselle astruse di un viscopensiero retrodatato. Dobbiamo scendere in piazza, con lo stile che ci contraddistingue, perché ci ascoltino anche molti che finora hanno fatto finta di non sentire. Prodi e gli altri professori delle cattedre inutili dicono che certe battaglie si fanno esclusivamente in Parlamento. Bravi, ma in Parlamento finora è stato impossibile discutere la Finanziaria.
La manovra sgangherata è nata in una clima di confusione, di caos demenziale, con provvedimenti che entravano e uscivano dal testo ufficiale nel giro di poche ore, con ministri che straparlavano l’un contro l’altro. Di questa manovra abbiamo percepito, come certi osservatori internazionali, soltanto il peso aberrante delle tasse. E col ricorso alla fiducia e a un maxiemendamento di oltre ottocento commi. La presenza in piazza rafforzerà l’azione parlamentare delle opposizioni, così che funziona nelle democrazie.
Arroccati nel Palazzo, i signori della nomenklatura e del sinedrio vedranno l’Italia che fin qui hanno ignorato.

Restano fuori dalla protesta corale i moderati snob dell’Udc; intendiamoci, anche loro fanno una manifestazione, decentrata, ma evidentemente non amano i grandi numeri, vogliono distinguersi: sarebbero anche contro l’Unione, ma restano politici di «nicchia», li spaventa il contatto con le masse, sia pure moderate e liberali. Pazienza, sarà difficile notare certe assenze.

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