Che Berlusconi sia intelligente è difficile
contestarlo. È anche un bizzarro incidente della storia, un’anomalia, e
insieme l’autobiografia della nazione in molti aspetti non
propriamente commendevoli, ma le sue doti di penetrazione intellettuale
nella realtà, la sua esperienza in umanità e il talento di governare i
rapporti di forza, sono doti personali e politiche da nessuno negate
(sorvolo sui cretini che lo odiano, sulla gentuccia malata di
pregiudizio da frustrazione, e sono molti). Se questo è vero, siamo in
presenza di un apparente mistero. Perché ha detto che non voleva
disturbare il colonnello Gheddafi, mentre divampava la crisi libica?
Perché ha detto di essere addolorato per lui, a missione no-fly zone
in pieno corso, con i bombardamenti del suo quartier generale
ingaggiati da una coalizione di cui un’Italia riluttante fa parte? Su un
altro piano: perché ha detto che la nomina di Saverio Romano a ministro
dell’Agricoltura è stata necessaria per scansare il rischio di una
crisi di governo, avallando i sospetti su un baratto? Un politico
professionale, un D’Alema, un Prodi, un Fini, un Casini, e perfino
il Bossi che condivide con il Cav il «talento dell’amicizia» e
dell’inimicizia, e il «parlar chiaro», non lo avrebbero mai fatto.
Si usano circonlocuzioni, in questi casi. Si mente con sottigliezza e
ipocrisia. Si dice che «con il Colonnello il governo stabilirà
eventuali contatti al momento opportuno». Si dice che «nessuno può
essere lieto di un bombardamento, malgrado sia urgente la difesa
umanitaria dei civili in Libia». E sulla nomina che ha impensierito il
Quirinale, un politico professionale direbbe che «il piccolo
rimpasto ha intanto arricchito di nuove forze e competenze la
maggioranza, è un atto di stabilità e di gestione politica responsabile
di poteri propri della presidenza del Consiglio». Le parole per dirlo
non mancano, in politica. Ma Berlusconi non le trova, e ormai, dopo
tanti anni in cui sono stato del parere che avrebbe dovuto trovarle
dentro di sé e dentro la sua esperienza politica, sono certo del fatto
che nemmeno le cerca. La debolezza del professionista è la forza del dilettante. Amateur , nella lingua dei nostri carissimi cugini francesi, amici-nemici come sempre: il dilettante è energia pura, philìa ,
amore o desiderio, volontà e piacere. Berlusconi sa che non avrebbe
dovuto dire quelle cose, stando ai codici di comportamento della
classe dirigente di cui è parte influente, ma la sua volontà, il suo
desiderio di dirla come gli viene, di essere umanamente diretto anche
quando tesse la trama obliqua dell’arabesco
politico,fa premio sul professionismo, evoluzione dal latino profitèri :
dichiarare pubblicamente, insegnare. Con Berlusconi è sempre il
privato che parla,la narrazione decisiva è quella dell’esempio
personale, del mito vivente o dell’autoironia domestica, del piacere
di comunicare senza insegnare, senza mai salire in cattedra. La
libertà che si prende e che dà a tutti e a ciascuno, nel suo metodo di
business prima e di governo poi, è tutta qui. L’outsider è tutto qui.
Il fenomeno sarà studiato per anni. Si conoscono casi di persone
private divenute persona pubblica, maschera professionale, e anche
con successo. Ma di persona privata che diciassette anni dopo
l’irruzione sulla scena pubblica di una delle nazioni più
industrializzate del pianeta, privata resta, e applica cocciutamente
il suo metodo non professionale, antiprofessionale, anche alla
politica estera in tempo di guerra, anche alla dialettica amico-
nemico, e con efficacia malgrado gli ovvii elementi di fragilità che
ogni storia amatoriale riveste, non si era mai sentito parlare. È un
caso unico e misterioso, appunto, e lo studiarlo, l’osservarlo implica
un sottile piacere, una delectatio filosofica che oggi l’Italia tutta condivide, lo sappia o no, se lo confessi o no.
Non è un caso qualsiasi di cronaca giudiziaria il fatto che l’ultimo
assalto inquisitoriale contro Berlusconi abbia travalicato ogni
rapporto con le sue proprietà quotate e il suo comportamento pubblico,
e che il tentativo di colpirlo si sia incuneato senza pudore tra le sue
cene, le sue frequentazioni, le sue feste e fin sotto le sue
lenzuola. Ilda Boccassini è stregata, soggiogata da Berlusconi quanto il
pubblico che va in tribunale a fargli la claque; i suoi nemici sono
ipnotizzati dal suo metodo, che dannano, quanto noi, suoi amici e
difensori dell’aria di libertà che quel linguaggio del corpo e della
psiche personale ha portato nel sistema italiano ammalato di
burocratite e professionite.
Fino al crollo della Repubblica
costituzionale nata nel 1946, le ideologie di ferro del Novecento e il
cattolicesimo nutrivano di significato la politica. Dopo, nel vecchio
ceto dirigente è rimasto un insignificante mestiere, un guscio vuoto,
una prassi senz’arte né parte, senza anima, senza riscontri vitali.
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