RomaOre 9.45, uscita di Palazzo Grazioli, interno auto, sportello socchiuso. Tenuta casual, consueto sorriso ed ennesimo invito del Cavaliere a chi attende la sua partenza per la Costa Smeralda: «Ma cosa fate qua? È inutile che mi aspettate, mi dispiace, ma sapete che non parlo...». I presenti, però, sanno bene che la regola, di tanto in tanto, viene disattesa. È uno di quei casi. «Presidente, ha firmato la manovra?», chiede una cronista, visto che la sera prima, passeggiando per via dei Coronari, spiegava che non era ancora arrivata alla sua attenzione. Silvio Berlusconi potrebbe cucirsi la bocca (lo vorrebbero tanto nel suo staff), pensando magari al sopralluogo in programma nella tenuta in Sardegna, ma non lo fa: «È allattenzione del capo dello Stato, viene firmata quando il Colle darà la sua valutazione». È un punto di svolta. E forse anche di parziale rottura, se si prende per buona lirritazione che sarebbe trapelata dal Colle, per via di quella prassi consolidata disattesa. Ovvero, il presidente della Repubblica valuta un testo di tale portata solo nella versione definitiva.
Ma questa è unaltra storia, da sommare semmai al resto. Perché, al di là della procedura, fanno notare gli uomini di fiducia del premier, ciò che conta è che laccelerazione chiesta dal Colle cè stata e il provvedimento al mattino è già sulla scrivania di Giorgio Napolitano. Ed è presumibile che luscita del capo del governo sia da legare alla necessità di giocare di sponda con il Quirinale, per far sì che lopinione pubblica sia pienamente consapevole della larga condivisione istituzionale sui «sacrifici» da chiedere agli italiani. In linea - altro aspetto chiave - con le direttive impartite dallUnione Europea.
Ma cè dellaltro. A cominciare dal ruolo di solista giocato da Giulio Tremonti, a cui in questo frangente linquilino di Palazzo Chigi sarebbe tentato di mollare del tutto la patata bollente. E, come se non bastasse, pure il ministro dellEconomia sembra avere qualcosa da ridire sulla gestione della vicenda. Da ambienti a lui vicini, infatti, non si nasconde linsofferenza per lazione di «sabotaggio» - è il termine che usano un paio di tecnici di via XX Settembre - che starebbe portando avanti Gianni Letta. Il motivo? La continua limatura al ribasso, in materia di tagli (vedi rivisitazione, «imposta» - dicono - dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, nei confronti della mannaia da far calare sul versante Province, magistrati e partiti). Nel frattempo, il detentore dei cordoni della borsa gioca pure la carta dellironia. E dal ministero, oltre a ribadire linvio della manovra al Quirinale «previa bollinatura da parte della Ragioneria generale dello Stato», fanno sapere che «per suo conto il professor Giulio Tremonti formula a velenisti e velinisti i migliori auguri per un meritato e tranquillo ponte del 2 giugno».
Ci può stare. Ma sarcasmo a parte, sembra evidente che Berlusconi non voglia buttarsi a capofitto, almeno per ora, nello sbandierare il decreto correttivo, non riconoscendo la paternità di una manovra che rischia di compromettere il rapporto fiduciario con gli elettori. Tanto da non aver avuto nessuna smania, avrebbe confidato ai suoi, di porvi il proprio autografo senza studiarla a fondo. Prerogativa che però gli spetta. Così, quattro ore dopo la breve dichiarazione romana - prima di volare in direzione Olbia, per trascorrere il sabato a Villa Certosa - arriva il comunicato tanto atteso: «Il testo della manovra economica, già firmato dal presidente del Consiglio, è ora al Quirinale in attesa della valutazione del capo dello Stato».
E vabbè, il Cavaliere ha quindi estratto la penna dal taschino, dopo aver visionato con urgenza testi e tabelle inviate a Napolitano. Ma qualcosa non quadra e a prima vista sembra esserci una stonatura, diciamo così, tra quanto affermato al mattino e la nota ufficiale. Non è un caso che il Pd sinfili subito nel varco: «La sceneggiata sulla manovra economica ha raggiunto il ridicolo», attacca Andrea Lulli, dato che «il presidente del Consiglio è stato smentito dalla presidenza della Repubblica e da Palazzo Chigi, in merito alla firma della manovra».
Ma siamo sicuri che sia davvero così? Non è detto. Anzi, la storia sarebbe unaltra, se si dà credito a chi parla con Berlusconi dandogli del tu: «Non si tratta per nulla di una gaffe, Silvio ha voluto rilanciare un messaggio ben preciso a chi ogni volta pretende di visionare in anticipo, virgola per virgola, ogni provvedimento varato dal governo».
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