Non dite a D’Alema o Bersani che non sanno più parlare con la classe operaia, con le masse e con il popolo. Vi rispondono a parolacce. È questa l’ultima frontiera della sinistra in cerca di un’idea, di un linguaggio, di una cosa: il turpiloquio. Non ci votano più? E allora noi parliamo come si suppone parlino nei bar, con il dito indice alzato, un po’ coatti, masticando un chewingum, con la voce roca e il pane al pane e il vino al vino, incasellando qualche che c’azzecca, in una brutta imitazione di Di Pietro. La nuova linea del partito è stata suggerita da D’Alema e subito accolta da Bersani.
E poi dicono che non sono il braccio e la mente. Il segretario parla con tosta cadenza emiliana all’assemblea nazionale del Pd. Tutti in riga e attenti. Bersani che ha un cuore metallaro si ritrova presto nella parte e come a un concerto degli Ac/Dc lascia da parte Frattocchie e memorie berlingueriane per dire al ministro Gelmini cosa pensa del suo ruolo pubblico e istituzionale. Il mix è perfetto: retorica e parolacce. «Io sono per fare uscire da questa assemblea una figura eroica, i veri eroi moderni, gli insegnanti che inseguono il disagio sociale in periferia, lottano contro la dispersione mentre la Gelmini gli rompe i coglioni». Coglioni? Si, ha detto coglioni. Non ci sono dubbi. È il vestito nuovo dell’imperatore. L’idea è questa. Parlare come al Grande Fratello e sperare nell’auditel. L’effetto è simile al nobiluomo che si sforza di raccontare barzellette in dialetto. Patetico.
Tutto comincia con D’Alema in salsa Ballarò, che prima di essere un salotto tv era il mercato popolare di Palermo. Si parla di case e l’uomo che si considera il più intelligente della sinistra italiana si ritrova a fare i conti con il suo passato di inquilino privilegiato. Sallusti, condirettore di questo giornale, ricorda a D’Alema di non fare troppo il moralista, perché anche lui ha qualche peccato da farsi perdonare. La reazione è fuori dalla grazia di Dio. D’Alema sbianca, arrossisce, vibra i baffi, fa il volto arcigno, inscena una noblesse oblige che casca male, infine sbraita, sbraca e manda Sallusti a farsi fottere. Tutto in diretta tv. Lo sfogo è istintivo. Il resto del tempo a dimostrare che lui non è psicologicamente fragile, ma ha risposto alle accuse come vero uomo del popolo. Il bello è che tutti nel partito si sono adeguati. Si aspetta un «li mortaci tua» di Veltroni e un «accipicchia» di Franceschini.
Non importa che la «rompicogliona» sia un ministro della Repubblica, una donna, un politico che sta facendo il suo lavoro, senza insultare nessuno. La sinistra perbenista e bacchettona, elegante e aristocratica che alza il sopracciglio disgustata alle cadute di Berlusconi oggi non ha nulla da rimproverarsi. Se Berlusconi scherza con la Bindi è maleducato, se Bersani mette un’etichetta alla Gelmini è un politico che parla come mangia. Non ci sono scandali. Non ci sono morali. Nessuno che si strappi i capelli o chieda le dimissioni per comportamento scorretto. Non ci sono in giro femministe. Non si danno lezioni di bon ton. È un benefit che spetta agli aristocratici di professione, quelli che danno identità a questa sinistra senza più radici. Sono anni che il Pd e la sinistra extraparlamente non riescono a intercettare la sensibilità dei cittadini. È per questo che non li votano. Bertinotti scelse alle ultime elezioni politiche come quartier generale l’Hollywood Cafe di via Veneto. Era il segno che qualcosa si era spezzato. Era un cambio di bandiere e identità.
Il guaio, per il pd, è che non basta mascherarsi da Di Pietro o abbassare i pollici alla Totti per diventare popolari. Le parolacce non suppliscono a un carisma che non c’è.
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