Bersani, mossa disperata: Palazzo Chigi a Casini

Il segretario dei democratici è disposto a tutto pur di assicurarsi un’alleanza con l’Udc. Ma così rischia di consegnare gli elettori di sinistra a Vendola. Ma Casini adotta la politica dello yo-yo: "Porte aperte al Pd, anzi no"

Bersani, mossa disperata: Palazzo Chigi a Casini

Roma - Una doccia gelata: così è stata letta, in casa Pd, l’intervista con cui Pier Ferdinando Casini ha chiuso la porta all’alleanza. Se il Pd continua a «dare un colpo al cerchio e uno alla botte», a «non scegliere» tra moderatismo e massimalismo, se non si smarca con «più decisione» da Vendola o dalla Cgil o da Di Pietro, «l’Udc non si allea con il Pd, non ci sono dubbi».

La risposta di Bersani al leader Udc è piccata: «Non so cosa pensi precisamente Casini, so una cosa sola: che senza i numeri del Pd, l’alternativa a Berlusconi non si fa. Ognuno si prenderà le sue responsabilità». E intanto, per scrollarsi di dosso l’accusa di collateralismo con la Fiom, Bersani scrive a Tremonti e apre alla riforma del fisco: «Bisogna alleggerire le imprese e stimolare gli investimenti».

Ma per il segretario del Pd il problema è enorme: senza un’alleanza con i centristi dell’Udc non può neppure sperare di vincere future elezioni, tanto che il Pd è pronto ad offrire in cambio a Casini la premiership o il Quirinale, sempre che non si accontenti della presidenza della Camera. Ma se rompe con la Sinistra e con Idv, rischia l’implosione del partito e la fuga degli elettori di sinistra. Il rebus sembra insolubile, e l’ex Pd, oggi Udc, Renzo Lusetti lo fotografa così: «Il problema è che il Pd ha una base più a sinistra del vertice, e l’Udc una base più a destra del vertice: l’alleanza è quasi impossibile».

A sinistra, Vendola costituisce per il segretario Pd un’ipoteca pericolosa: il governatore pugliese conta su elezioni anticipate per candidarsi alle primarie del centrosinistra. Con l’obiettivo di vincerle, o quanto meno di spaccare in due il Pd, rubandogli una grossa fetta di consensi. Per questo, in casa Pd, si sono messi in moto gli strateghi che vogliono riuscire a «sterilizzare» il rischio Vendola. Non a caso, l’operazione parte dalla sua Puglia: il segretario regionale Pd, Blasi, propone: primarie sì, ma anche per i deputati, apparentati al candidato leader. E i vendoliani hanno già detto: no grazie. È chiaro che se in pista scende Bersani, e abbinati al suo nome ci saranno i candidati parlamentari Pd, mentre con Vendola quelli di Sel e con l’eventuale candidato dipietrista (si parla di De Magistris) quelle Idv, il recinto di voto dei singoli candidati si restringe. Per Vendola sarà assai più difficile sfondare elettoralmente nel campo democrat. «Se grazie a questo sistema Bersani riesce a stravincere le primarie, con una lista di deputati già democraticamente indicati - spiega uno dei colonnelli Pd che ci stanno lavorando - poi è libero di concordare un programma per l’alleanza con Casini, e a Vendola e Di Pietro tocca accodarsi, se vogliono. Ma sui nostri contenuti».

Basterà? Dall’Udc allargano le braccia: «Le primarie sono fatti del Pd, a noi non interessano», dice Angelo Sanza. «Quel che è certo è che non ci faremo trascinare in un’avventurosa coalizione alla Prodi: così si vince, ma poi non si governa». Tanto più che gli scricchiolii e i rischi di implosione nel centrodestra rendono quel versante molto appetibile per i centristi: «Se il prossimo candidato premier non sarà Berlusconi - spiega un casiniano - è chiaro che andremo da quella parte». E i rapporti con Gianfranco Fini? Nessuna «terza gamba» o ipotetico «partito della Nazione» insieme, si spiega: «Non ci accolleremo i loro candidati da eleggere con i nostri voti», al massimo una alleanza tecnica al Senato, per superare gli alti sbarramenti, e due liste diverse ma coalizzate alla Camera: «Così a Fini basterà il 2% per portare un po’ di deputati».

Dalle colonne del Corriere, ieri, Casini ha anche lanciato un appello ai moderati Pd: «Non si capisce perché Enrico Letta o Pisanu, Fitto o Follini debbano restare su versanti opposti». Un’appello alla scissione? In casa Pd, i moderati ammettono di essere «in difficoltà».

Peppe Fioroni ha organizzato per oggi una sorta di pellegrinaggio di gruppo dal leader Cisl Bonanni, per dargli «solidarietà» e segnare la netta distanza dalla parte del partito che era in piazza sabato. Un dirigente centrista Pd confida: «Ora non c’è nessuna scissione alle porte, ma se finiamo a rimorchio di Cgil e Vendola ci sarà una fuga di massa dal Pd».

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