Bertinotti guarda oltre Prodi e ora tifa per Marini premier

Bertinotti guarda oltre Prodi e ora tifa per  Marini premier

Roma - Più che in cagnesco, i due non si guardano neppure più in faccia. Se le mandano a dire, Romano Prodi e Fausto Bertinotti. Fanno definire «sgradevoli» i reciproci comportamenti, chiedono smentite che non arrivano, evocano uno scontro istituzionale senza precedenti. Tra Palazzo Chigi e Camera dei deputati si è aperto ormai un fossato che pullula di coccodrilli. Da separati in casa, premier e terza carica dello Stato demarcano i propri territori di lotta e di governo, e pare si sia arrivati al «o lui o me».
Una telefonata tesa, nella quale Bertinotti l’altroieri avrebbe dato il benservito a Prodi, riferita da «Panorama», è stata smentita dai rispettivi portavoce. E il «nessun contatto tra i due» viene ripetuto paradossalmente con tono rassicurante, del tipo: «Meno male, chissà quante se ne direbbero...». Nel frattempo, piccato dalla constatazione del fallimento del suo secondo governo, Prodi ha trascorso la giornata ad autoelogiarsi e ad addossare le colpe a «quello là». Punzecchiature da curato, più che frasi altisonanti che gli costerebbero la poltrona subito. «Ogni volta che facciamo un provvedimento verso aggiustamenti necessari per il Paese, la risposta è stata: “Ci vuole ben altro”. Ma il benaltrismo della sinistra è diventato come il qualunquismo della destra». Oppure: «Non sono preoccupato, la legislatura va avanti. L’incertezza sul governo e sulla tenuta politica impedisce salti avanti che il Paese può fare. Siamo capaci di farci del male da soli». Insomma, tutta colpa di Bertinotti e della sinistra. «I miracoli non li so fare, ma il risanamento sì», si loda Romano.
Dall’altro fronte non arrivano pallottole meno avvelenate. Anzi: il segretario Franco Giordano già in mattinata ha detto di ritenere «opportuna una smentita di Prodi» a proposito dell’accusa fatta dal sottosegretario Micheli al presidente della Camera di «non avere il senso dello Stato». «Una cosa è la dialettica politica, un’altra la critica istituzionale - ha spiegato Giordano -. È sgradevole e sbagliato che si critichi la terza carica dello Stato, che invece ha fatto un cronaca veritiera di quello che accade nella società». Il «governo ha fallito, deludendo le aspettative di lavoratori e pensionati», ha ribadito il ministro della Solidarietà, Paolo Ferrero. Il capo dei senatori, Giovanni Russo Spena, approfondisce il concetto argomentando che il fallimento è tale che la «verifica di gennaio sarà aspra». Per Giordano «il programma non esiste più» e «Prodi non è in grado di svolgere il ruolo di garante dell’Unione».
Che lo scenario di Bertinotti sia ben oltre Prodi è confermato dal capo dei deputati, Gennaro Migliore: «Se cade, si va al governo istituzionale». Il presidente della Camera gradirebbe una soluzione con Marini premier (pare che i due ne abbiano parlato durante l’incontro di due giorni fa), anche se fa paura a Mussi: «È un calcolo rischioso». L’esecutivo farebbe la riforma elettorale e scongiurerebbe il referendum ipermaggioritario, segreto obbiettivo di Prodi. Per questo il premier ha chiesto a Veltroni un’esplicita espressione di sostegno.

«La riforma si farà solo se il governo Prodi continua», ha concesso Walter, definendo «sgradevole» l’ammissione del fallimento fatta da Bertinotti. Ma quando è arrivato a parlare del premier, Veltroni non ha rinunciato a spiegare: «Prodi ha fatto un gran lavoro, nelle condizioni date». Sottinteso: è ora di cambiarle. Cambiare tipo di corsa per cambiare cavallo.

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