Bertinotti regala sei poltrone alla «sua» Camera

Paolo Armaroli

Nei giorni scorsi la Camera dei deputati ha scritto una pagina che non le fa onore. Ha eletto altri sei segretari dell’Ufficio di presidenza. Così essi sono lievitati a sedici, esattamente il doppio di quanto un tempo il regolamento prescriveva. Come sia stata possibile la moltiplicazione delle poltrone non è un mistero. È proprio il caso di dire che si stava meglio quando si stava peggio. Fino agli anni Ottanta non era possibile di norma superare il numero di otto. Tutti i gruppi hanno diritto a essere rappresentati nell’Ufficio di presidenza. Più che giusto. Ma un tempo c’era maggior rigore. Difatti il candidato del gruppo che non risultasse tra i primi otto veniva ugualmente proclamato segretario a spese del candidato che avesse riportato più voti ma il cui gruppo fosse già rappresentato nell’Ufficio di presidenza.
Poi i cordoni della borsa si sono allargati. In seguito il regolamento della Camera ha stabilito che i gruppi che non fossero rappresentati nell’Ufficio di presidenza avevano diritto a un segretario supplementare. Cosicché il loro numero è passato artificiosamente da otto a undici. Ma non basta. Si dà il caso che l’Ufficio di presidenza possa autorizzare la costituzione di gruppi che non abbiano almeno venti deputati. Con il bel risultato che in questa legislatura il numero dei segretari di presidenza è raddoppiato. E questo grazie, quando si dice il genio, alla bella pensata del presidente della Camera. Il 17 maggio Fausto Bertinotti ha riunito l’Ufficio di presidenza e con il suo voto determinante quest’ultimo ha autorizzato la costituzione di altri cinque gruppi. Vedi caso, quattro di centrosinistra e uno solo di centrodestra. Mentre dal 1994 solo nella passata legislatura era stata fatta un’eccezione per Rifondazione comunista. Perciò sia nella conferenza dei capigruppo sia nell’Ufficio di presidenza il centrosinistra ora dispone di un'ampia maggioranza e può fare il bello e il cattivo tempo.
Questo scandalo è stato denunciato in aula da Teodoro Buontempo nella seduta del 18 maggio. Ma è come se avesse parlato al muro. Un altro scandalo è che Bertinotti abbia ritenuto di far valere il proprio voto quando un suo illustre predecessore di sinistra, Francesco Crispi, nel 1876 si fece togliere dalla «chiama» proprio per sottolineare che un presidente di assemblea non può schierarsi per l’una o per l’altra parte. Ma, come in un gioco di scatole cinesi, c’è un altro scandalo. A riprova che non c’è due senza tre. Da quando il voto è di norma elettronico, i segretari di presidenza sono poco più che degli sfaccendati. Danno lettura del processo verbale. Un’incombenza che d’ora in poi a ciascuno dei magnifici sedici toccherà una volta al mese, o giù di lì. Formano l’elenco dei deputati iscritti a parlare: sai che fatica. Danno lettura delle proposte e dei documenti. In buona sostanza, questo è tutto.
Tale spreco di energie è compensato da un’indennità supplementare, da uffici lussuosi, da un personale di segreteria pagato naturalmente dal solito Pantalone, da auto della Camera sempre a loro disposizione. Ora, lungi da noi l’idea di fare del qualunquismo spicciolo. Ma qualche domandina facile facile è legittima.

Non era forse il centrosinistra, ai tempi in cui l’inquilino di Palazzo Chigi era un tal Silvio Berlusconi, a denunciare che molte famiglie italiane non ce la facevano a campare fino alla fine del mese? Non era forse la sullodata Unione a reclamare l’austerità come ai tempi di Enrico Berlinguer? Non è forse il neopresidente del Consiglio Romano Prodi a predicare il contenimento delle spese statali? Bertinotti non è un bieco conservatore ma un fiero progressista. Eppure, come padre Zappata, predica bene e razzola male. Valli a capire i progressisti...
paoloarmaroli@tin.it

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