Blitz via radio, a Pechino va in onda la protesta

Incursione in diretta di "Reporters sans frontières" sulle frequenze del canale di Stato: appello alla libertà di espressione. Manifestazioni in tutto il mondo per denunciare le violazioni dei diritti umani. Allarme bomba per un aereo dell’Air China decollato dal Giappone

Blitz via radio, a Pechino va in onda la protesta

Good Morning China. Nel primo giorno di Olimpiadi la sveglia alla Cina l’ha data la radio, ma l’invito non era quello di aprire gli occhi su un giorno atteso da tempo, bensì su un futuro che pare ancora lontano. Con un blitz senza precedenti, l’organizzazione Reporters sans frontières è riuscita a impossessarsi della frequenza radiofonica 104.4 della radio di Stato per diffondere a Pechino downtown un messaggio a favore della libertà d’espressione in Cina. Alle 8.08, dodici ore prima del momento fatidico scelto per dare il via ai Giochi, una voce di donna, in inglese, poi in francese e in cinese, ha fatto breccia nella «muraglia» del regime.

Pesanti le accuse lanciate via etere dal gruppo di Robert Menard, grazie ad alcune antenne mobili: «Questo è il nostro modo di prenderci gioco della censura cinese, questo è il nostro modo per affermare che nonostante le vostre misure repressive, non metterete mai a tacere la voce delle persone». E poi via a ricordare le promesse fatte sette anni fa dal comitato cinese organizzatore dei Giochi sulla libertà di stampa, «promesse mai mantenute: i reporter stranieri non sono stati liberi di girare per il Paese, per esempio non potrebbero recarsi in Tibet in questi giorni a fare delle interviste, mentre i giornalisti locali devono sostenere un tirocinio di un anno per “imparare” che cosa si può e che cosa non si deve dire». La trasmissione clandestina è stata la prima ad andare in onda senza l’avallo dello Stato. Di fronte allo stadio olimpico, intanto, numerosi manifestanti sono stati bloccati dalla polizia mentre all’interno del «Bird’s nest» fervevano gli ultimi preparativi della coloratissima cerimonia. Già, ma nonostante il nome, nemmeno lo stadio è riuscito a fare da «nido» sicuro ai valori dei Giochi: uno dei suoi padri, l’architetto cinese Ai Weiwei, che ha collaborato con lo studio svizzero Herzog & De Meuron, è tornato a ribadire il suo disappunto: «Mi dissocio da quanto avviene: la gioia del progetto è finita, tutto il resto è spazzatura. Non voglio associare il mio nome con le Olimpiadi perché odio i sentimenti mossi dalla propaganda». Poco olimpico anche il clima dei cieli: per un allarme bomba, in mattinata, un volo di Air China da Nagoya, in Giappone, diretto a Chongqing, in Cina, via Shanghai è stato fatto rientrare e gli altri voli della compagnia sono stati sospesi. In tutto il mondo il testimone della protesta è così stato raccolto, rimbalzando nuovamente dalle sedi sportive a quelle politiche.

L’episodio più doloroso si è verificato in Nepal: 1400 tibetani, fra cui monaci, suore e studenti, sono stati arrestati a Kathmandu nel corso di una protesta davanti all’ambasciata cinese. Mai nel Paese «cugino» del Tibet erano stati arrestati così tanti manifestanti in un solo giorno, a partire dal marzo scorso quando le rivolte anti cinesi si sono fatte quotidiane.

A Nuova Delhi l’ambasciata cinese è stata presa di mira da un gruppo di 150 monaci tibetani.

La polizia li ha arrestati mentre, con le loro tonache color zafferano, cercavano di arrampicarsi sulle barriere metalliche, incuranti del filo spinato che le ricopriva. In Turchia, invece, un esule cinese di etnia uigura della provincia musulmana dello Xinjiang si è dato fuoco davanti all’ambasciata cinese di Ankara ed è ora ricoverato con ustioni gravi su tutto il corpo.

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