Il bluff della mutanda in "limited edition" Sentirsi "unici" nell'era del finto esclusivo

L’etichetta una volta riservata al lusso più estremo ora finisce anche sui prodotti di largo consumo. Yogurt, bibite, superalcolici, tutti in "edizione limitata". Una targhetta che rischia di essere uno specchietto per allodole 

Il bluff della mutanda in "limited edition" 
Sentirsi "unici" nell'era del finto esclusivo

Milano - Ebbene sì: siamo un paese in mutande, ma in mutande limited edition. Vuoi mettere la differenza? La nuova frontiera commerciale della presa per i fondelli ha sul retro dello slip la targhetta con queste due fighissime parole, che solo chi non è un vero fashion victim tradurrebbe burinamente in "edizione limitata".
Qui non è in discussione la legittimità dell’edizione limitata (ci scuseranno gli shopping addict, ma noi preferiamo l’italiano): una formula che per determinati articoli di lusso (orologi, gioielli, auto, moto, barche...) esiste da sempre. Una produzione in pochi e preziosi esemplari (questa l’originale ratio dell’edizione limitata) destinata a un’élite di consumatori - un po’ super appassionati un po’ collezionisti - che vedono il loro "gingillo" rivalutarsi nel tempo.

Facciamo due esempi. Esempio uno: se mio nonno avesse comprato 60 anni fa un Rolex in edizione limitata pagandolo poche migliaia di lire e oggi volesse rivenderlo, incasserebbe almeno 20-30 mila euro. Capito il vero valore dell’edizione limitata?
Esempio due: se oggi mia moglie compra una sottoveste Yamamay limited edition (lei preferisce la versione anglofona perché insegna inglese) e la paga 30 euro, state certi che tra 10 anni ne varrà meno della metà (ammesso che l’implacabile trascorrere del tempo non la trasformino - alla vestaglia, mica a mia moglie - in un capo decisamente demodé).

Lo stesso discorso vale per tutta quella variegata tipologia di articoli che ingombrano gli scaffali dal tragicomico "Emporio dell’Edizione Limitata": un immaginario negozio "esclusivo" dove tutto (e quindi, nulla) è rigorosamente limited edition.
Chi si illude di uscire dalla massa del consumatore «ordinario» per entrare nel "club privé" del carrello della spesa, è pregato di acquistare quel famoso yogurt il cui vasetto dalla fantasia celestial-nuvolosa è reclamizzatissimo in tv. Idem per buste di insalata «già lavata» (mai i nostri avi avrebbero pensato che un giorno sarebbe esistita la lattughella "già lavata" in busta e, per di più, limited edition), barattoli di bibite, merendine, fazzolettini di carta, carne in scatola, bottiglie di acqua minerale e mille altri prodotti di uso comune (e quindi in esatta antitesi concettuale rispetto all’idea primigenia di edizione limitata).

Ma l’homo banalis del supermarket globalizzato non può accettare di sentirsi solo uno tra i tanti, semplice granello dell’impersonale castello di sabbia consumistico: no, perfino l’utente del discount o il cliente dell’outlet oggi rivendica la propria fettina di "esclusività". E allora ecco moltiplicarsi la scritta limited edition (identica a quella illimited, eccetto per il prezzo maggiorato...) anche su scarpe dozzinali, spumanti fatti con le cartine, orologi di plastica, t-shirt da mercatino; paccottiglia sì, ma in edizione limitata doc: l’equivalente versione-massaia del celebre "quarto d’ora di notorietà che non si nega a nessuno", teorizzato da Andy Warhol. Una gran consolazione per chi - abituato da una vita ad assistere alla partita dei consumi sempre dalla curva - ambisce, almeno per un giorno, a godersi la gara dalla Tribuna Autorità.

Insomma, confessiamolo: la piccola scritta limited edition è perfetta per sentirsi, se non un vippone, almeno un vippetto.

Che magari va all’Ikea per un "arredamento completo a 3 mila euro (compresi gli elettrodomestici della cucina)" e poi esce dal negozio con una busta di plastica istoriata da graffiti pop. Busta in limited edition, ovviamente. E, soprattutto, senza l’incubo di doverla montare a casa.

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