Non se ne può più. Hollywood sta raschiando il barile e il biopic pare essere l'ultima trovata in grado di fare cassetta. L'età aurea del pop rock si è conclusa e, per celebrarne la scomparsa attraverso l'inevitabile successione di nomi celebri, il cinema attinge alle biografie. Ma la ciambella non sempre esce col buco. Nel caso dei sempre più numerosi film sugli idoli del pop rock, non succede quasi mai, consegnando alla storia del cinema pellicole finte. Va, ovviamente, fatta distinzione tra i biopic che narrano le gesta di eroi scomparsi e quelli che, viceversa, vorrebbero descrivere la parabola di chi è ancora in vita. A questa seconda categoria va ascritto A complete unknown, il biopic su Bob Dylan, che ha monopolizzato l'attenzione dei media, mentre lui, il Dylan vero, gongola sotto i baffetti, tra un'esibizione in teatro e l'altra, senza quasi preoccuparsi più ammesso che lo abbia mai fatto di non steccare una nota. Timothée Chalemet, che lo interpreta, è un bel ragazzo ed è l'attore del momento. Pare abbia studiato per cantare e suonare come Dylan e, soprattutto, per assomigliargli nelle movenze. Wow! ha pure studiato! verrebbe da dire. Per fare che? Per ridurre a una sorta di caricatura un gigante della contemporaneità che, peraltro, con tutte le sue note idiosincrasie, è tuttora attivissimo. Ma questo è il limite a cui molto raramente si sottrae un biopic: scarsa profondità, molto effetto karaoke, strabordante in questo caso, dove il carisma vocale di Dylan non affiora. Tina - What's Love Got to Do with It, Ray, Elvis, Bohemian Rhapsody. Che noia. Avevo sentito parlare un gran bene di Quando l'amore brucia l'anima - Walk the line, eppure, nonostante la bravura di Joaquin Phoenix e Reese Witherspoon, il film trasforma Johnny Cash e June Carter in macchiette. Rocketman parte bene, tentando di restituirci la figura dell'Elton John alle prese con il lato oscuro della fama alcolismo, tossicodipendenza e problemi di identità ma poi diventa una lagna. Le riprese di Deliver me from nowhere, di fatto la storia della depressione di Bruce Springsteen, sono in corso, in sua presenza: il Boss che guarda qualcuno fare il Boss.
Temo che qualche produttore italiano stia pensando a un'operazione simile con Battisti, De Andrè, Pino Daniele. A un intervistatore che gli chiedeva cosa si ricordasse della Rolling Thunder Revue, Dylan rispose così: «Nulla, non ero ancora nato». E non è neppure morto.
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