Bondi respinge l'assalto e a finire sfiduciata è la cultura della gogna

La cultura della gogna rafforza il governo e qualcuno comincia a pensare che la tattica parlamentare dell’opposizione sia un suicidio. Vanno giù come birilli in una sala da bowling. Uno, due, tre, quattro e ora Bondi. La sfiducia al governo del 14 dicembre: frantumata. Sfiducia a Calderoli: un buco nell’acqua. Poi un tris di mozioni rispedite al mittente. L’ultima, quella appunto contro il ministro della Cultura, è pesante anche nei numeri. Il risultato è che il governo ogni volta che viene caricato a testa bassa diventa sempre più solido. Masochismo? Perfino le mosche nel bicchiere ormai cominciano a chiedersi il senso di tutte queste «capocciate». Perché insistono? Si potrebbe pensare che sia solo incapacità politica, oppure non sanno fare i conti, o tutte e due le cose insieme. Ma forse questa tattica nasconde altri obiettivi.

Bondi ha guardato a questa sceneggiata come uno che conosce certi processi gruppettari anni ’70. Non si è aspettato nulla di diverso dalle parole che gli hanno vomitato in faccia. Li conosce, i suoi avversari. Sa che quando qualcuno non appartiene più alla loro consorteria viene trattato come un «fuori casta». Se lo aspettava. Le motivazioni della sfiducia sono risibili. Bondi accusato di pensare più al partito che al ministero. Tutto questo mentre Fini continua a fare il super partes. Il crollo di Pompei che gli viene rovesciato sulle spalle, un po’ come dire che l’eruzione del Vesuvio fu colpa di Plinio. Oppure: non ha saputo tenere testa a Tremonti. Queste motivazioni sono così paradossali che non vale la pena neppure commentarle. Sono quasi più onesti i dipietristi, che almeno non cercano scuse e sfoderano una violenza verbale da campetti di calcio di periferia: il ministro va cacciato a calci nel sedere. Qui almeno non c’è mistificazione. Si vuole cacciare Bondi a prescindere. Questo il ministro lo ha capito da tempo e c’è molta amarezza in quello che ha detto a Montecitorio: «È stata introdotta una prassi nuova nella politica del Paese. D’ora in avanti in luogo del confronto democratico e politico, si potranno presentare mozioni di sfiducia individuali per attaccare e umiliare gli avversari politici».

Umiliare, questa è la parola magica. La politica di Fini e dei suoi compagni, di Bersani, di Di Pietro, di Casini, di Rutelli non ha più nulla di parlamentare. È una gogna. È tale l’ossessione anti berlusconianiana che ogni valore passa in secondo piano. Tutte le mozioni di sfiducia vengono respinte? Chissenefrega. La maggioranza si ricompatta? Pazienza. Facciamo la figura dei perdenti? E così sia. Il voto e la democrazia? Inutili perdite di tempo. L’importante è sputtanare. Questo è il nuovo verbo mediatico. Bisogna colpire l’immagine di Berlusconi e di chi governa con lui. È la stessa logica del caso Ruby, con le intercettazioni spiattellate in piazza e i verbali a puntate. A questo punto non importa neppure più il processo.

Quello vero non si fa in tribunale, ma si recita sui megaschermi. Il paradosso è che, comunque vada, le mosche antiberlusconiane hanno perso. Non sono un’alternativa. Di fatto sono state sfiduciate dagli italiani. Resta solo una domanda. Cosa c’è dopo la gogna? Il vuoto.

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