Bookmaker clandestini: da un bar gestivano le scommesse sui cavalli

Stefano Vladovich

Scommesse clandestine sul litorale. Dai terminali di un bar raccoglievamo le giocate in Inghilterra, poi incassavano il denaro in entrata dirottandolo nelle banche di Civitavecchia. Pagati i vincitori, i soldi restanti, oltre 600mila euro guadagnati in pochi mesi, finivano in decine di conti intestati a prestanome. Infine tornavano nel Regno Unito, riciclati, in istituti di credito. Almeno 4 gli imprenditori indagati per un giro centrato sulle corse di cavalli in mezza Europa. Da Agnano a Tor di Valle, da Capannelle agli ippodromi londinesi e parigini, i bookmaker romani avevano messo in piedi una maxi ricevitoria parallela. Una specie di «picchetto» fondato, però, sulle corse al trotto e al galoppo. Dal gioco d’azzardo al riciclaggio, dall’associazione a delinquere, alla fuga di capitali all’estero: questi i reati ipotizzati per i capi dell’organizzazione, due 40enni residenti a Civitavecchia. «Un’indagine complessa - spiega il maggiore dei carabinieri Francesco Cavallo -, che da maggio a dicembre è riuscita a individuare non solo i conti correnti cifrati e su cui sospettavamo da tempo, ma anche i titolari effettivi, gli organizzatori. Questi, appoggiandosi in alcuni bar del posto, riuscivano a mantenere contatti telematici al di là della Manica con altri della banda». Come Robert Redford nel film La stangata, G.C. teneva in piedi la ricevitoria principale in un retrobottega in pieno centro. Nel locale, oltre agli schermi tv collegati al televideo e sui quali gli scommettitori potevano seguire lo svolgimento delle varie corse europee, un paio di pc in rete con altri terminali di Londra e Birmingham su cui tenere i conti. «Le vincite venivano subito pagate ai fortunati con bonifici elettronici internazionali - spiega il maresciallo Guliano Mangoni, della stazione dell’Arma di Civitavecchia -, mentre il resto del bottino veniva ripartito tra le teste di legno». Il denaro, in particolare, veniva «spallonato» a terze persone, tutte straniere, che lo versavano su conti personali. Da questi, tramite assegni bancari dal valore massimo di 5mila euro, tornavano al mittente: i boss locali. Interrogati dagli inquirenti, i bookmaker avrebbero confessato di esser stati introdotti nel settore da allibratori di grosso calibro operanti negli ippodromi della capitale. E a cui finiva parte del ricavato, passando da banche inglesi.

Secondo i militari le scommesse andavano avanti da almeno due anni: si cercano i complici e il resto del denaro. Da chiarire, infine, i rapporti fra gli indagati e i capi clan romani legati al giro grosso, quello che porterebbe alle organizzazioni campane da sempre «interessate» a cavalli e scommesse.

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