Boom delle aste: gli italiani riscoprono l'"incanto"

Il 2016 ha registrato la migliore performance: il valore delle vendite ha sfiorato i 140 milioni

Boom delle aste: gli italiani riscoprono l'"incanto"

Il segnale arriva dalle pagine dei giornali dove le pubblicità delle case d'asta e dei mercanti d'arte ricorrono con frequenza. Quadri e oggetti d'antiquariato sono beni rifugio per eccellenza, assieme all'oro e alle pietre preziose; nei tempi d'incertezza si mette in casa, o nel caveau, qualche tela di valore. Ma se la pubblicità cresce significa che con la domanda di opere d'arte cresce anche l'offerta. Il mercato dell'arte cresce in Italia, le case e i mercanti hanno sempre più opere da piazzare. Disponibilità e interesse vanno a braccetto e alimentano un settore che, pur rimanendo una nicchia per appassionati, fa del nostro Paese il decimo mercato mondiale con un valore di vendite che nel 2016 ha sfiorato i 140 milioni di euro. In realtà non è molto: da sola l'ultima asta di Sotheby's a New York ha totalizzato mezzo miliardo di dollari. Siamo nella «top ten» planetaria ma restiamo microscopici.

Il Tefaf Art market report, l'indagine internazionale più completa diffusa ogni anno ai primi di marzo, assegna all'Italia nel 2016 il primato della migliore performance. Il mercato globale è stimato attorno ai 45 miliardi di euro, con un aumento dell'1,7 per cento rispetto al 2015. La crescita complessiva è dovuta all'attività di mercanti, antiquari e gallerie, che hanno fatto segnare un +20 per cento (27,9 miliardi, il 62,5 per cento del mercato) mentre alle aste fa capo il restante 37,5 per cento con un valore di 17 miliardi di euro.

LA SPINTA

Le piazze principali, sempre secondo le stime Tefaf, sono l'Europa con il 45,5 per cento delle compravendite totali (20,5 miliardi di dollari), le Americhe (32,2 per cento) e l'Asia (22,2). Stati Uniti, Gran Bretagna e Cina sono i primattori tradizionali e si confermano tali anche in questa fase: da soli assorbono sette contrattazioni su dieci. La classifica si ribalta considerando soltanto le aste, dove il primato è dell'Asia (40,5%) trainata dalla Cina, seguita da Europa (31%) e America (27,5%). Un dato che si spiega con la crescente tendenza di molti operatori euro-americani a passare dagli incanti pubblici alle vendite private.

In Italia una spinta consistente all'investimento in arte è arrivata dalla «voluntary disclosure», l'ennesimo scudo fiscale che ha agevolato il rientro di beni e capitali dall'estero. Molti collezionisti hanno ritenuto fosse giunto il momento di svuotare i caveau e realizzare. Parallelamente altri hanno deciso che era il caso di comprare, anche perché i valori erano davvero invitanti: secondo il rapporto Tefaf del 2014, tre anni fa l'Italia faceva registrare i prezzi più bassi del mondo. Il mercato è penalizzato da leggi restrittive, come quelle che regolano la «notifica», cioè il diritto dello Stato a vietare la commercializzazione di un'opera ritenuta di particolare pregio, e i limiti sulla libera circolazione: il decreto competitività ha alzato il tetto a 13.500 euro, in Francia la soglia della libera vendita è a 140mila.

LE CASE D'ASTA

Ma il mercato dell'arte non può essere paragonato a una borsa valori: vi si intrecciano passione, conoscenza degli artisti, esperienza, come pure questioni fiscali e patrimoniali, oltre a una certa competenza di diritto internazionale, perché spesso le opere cui si dà la caccia sono all'estero. O le si porta oltreconfine. Una spinta decisiva è arrivata anche dalla crescita delle case d'asta italiane, in grado di proporre cataloghi sempre più curati e di attirare compratori stranieri. Le aste sono il settore meglio conosciuto, quello i cui dati sono alla luce del sole, mentre l'andamento di mercanti e gallerie è più opaco: come rileva il rapporto Tefaf, molte di queste transazioni private avvengono in paradisi fiscali o tramite canali sotterranei difficili da monitorare.

Nicola Maggi, fondatore del blog Collezionedatiffany.com, uno dei più interessanti osservatori on line sul settore, conferma la crescita del mercato italiano, in particolare per l'arte moderna e contemporanea: «I primi segnali sono apparsi nel 2014, nel 2015 il fenomeno ha preso corpo e nel 2016 si è consolidato. I numeri non sono paragonabili alle grandi case internazionali. Ma le nostre realtà hanno fatto segnare buoni risultati su tre fronti: cataloghi di qualità sempre maggiore, capacità di imporsi anche a un pubblico straniero e abilità nello sfruttare i canali on line. La casa più dinamica a mio giudizio è Il Ponte di Milano, ma potrei citare anche Wannenes, Cambi, Capitolium, Porro e realtà storiche come Blindarte e Martini».

IL VALORE DELLA RISERVATEZZA

La crescita del mercato interno è andata di pari passo con l'aumentata attenzione per l'arte italiana. «Le case hanno inserito artisti importanti ma non ancora valorizzati nel contesto internazionale - spiega Maggi -. Penso a Giosetta Fioroni, trascinata dalla riscoperta anche internazionale della pop art italiana, e poi a due rappresentanti dell'arte cinetica come Franco Grignani e Marina Apollonio, o un battitore libero come Alberto Burri che in realtà non aveva bisogno di una riscoperta ma finalmente ha ottenuto il riconoscimento che meritava». I mercanti e i galleristi acquistano alla ricerca del Fontana di domani. Un occhio è rivolto alla passione del collezionista che guarda avanti o cerca l'artista in odore di riscoperta, l'altro è attento a un investimento non finanziario.

Anche le banche considerano questo mercato nella diversificazione del proprio portafoglio e con il tempo creano collezioni. «Nel mercato dell'arte - chiarisce Maggi - spesso il vero investimento, per chi se lo può permettere, non è il singolo pezzo ma la collezione. Non un'opera trofeo, ma una raccolta che presenta maggiori probabilità di rivalutazione. Chi vuole scommettere su un unicum deve puntare su un nome già affermato, trovando prezzi già alti». I quadri non sono azioni, ognuno è diverso dall'altro e ha una storia propria, più o meno importante a seconda del periodo di esecuzione, della qualità intrinseca e del passato espositivo.

Tuttavia il requisito che più guadagna peso è quello della privacy. La riservatezza, la discrezione, l'anonimato, la lontananza dalle luci dei banditori d'asta, alla larga dai clamori sollevati dalle quotazioni raggiunte. Nel Tefaf Report si legge: «Le opere d'arte di maggiore valore vengono vendute in transazioni private ai collezionisti più ricchi, che sono meno propensi a mostrare la loro disponibilità a pagare pubblicamente in asta.

In un momento in cui l'austerità sta provocando una sempre più marcata diseguaglianza sociale e viene rivelato l'enorme ammontare di patrimoni finanziari nascosti, i collezionisti che navigano nelle fasce alte del mercato preferiscono fare affari in modo privato, invece di fare offerte in asta tra lo sdegno pubblico. Con un numero record di garanzie offerte dalle case d'asta, gli esperti e il ruolo delle expertise stanno cambiando il panorama delle aste».

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