Boom di export per la Cina: ecco perché Europa (e Usa) ora rischiano

Ad agosto la Cina ha aumentato le esportazioni di oltre 8 punti. Colpa del mercato interno debole. Ma, immettendo nei mercati beni a basso costo, a rischiare sono soprattuto le aziende occidentali: lo scenario

Boom di export per la Cina: ecco perché Europa (e Usa) ora rischiano
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L’export cinese vola. Una notizia preoccupante soprattutto per Europa e Stati Uniti. I beni del Dragone venduti all’estero sono aumentati per il quinto mese consecutivo e ad agosto le esportazioni hanno toccato il +8,7% su base annua. Un balzo notevole se si considera che le previsioni parlavano di un +6,5%. Il dato è allarmante perché si mescola all’andamento generale dei prezzi. Da mesi moltissimi prodotti cinesi hanno visto dei ribassi a conferma che il mercato interno non assorbe più il surplus manifatturiero. Questo mix minaccia soprattutto le aziende occidentali. Come ha sottolineato il quotidiano economico giapponese Nikkei, il rischio è di un’esportazione di deflazione.

Il problema è che questo calo dei prezzi, mescolato all’aumento delle esportazioni come valvola di sfogo della manifattura cinese per le scorte in eccesso, rappresentano una minaccia per le economie occidentali. Come ha sottolineato il quotidiano economico giapponese Nikkei, il rischio è di un’esportazione di deflazione, cioè prezzi bassi che possono avere un forte impatto sulle industrie europee e americane.

Il calo dei prezzi cinesi

Dietro questo mix c’è un’economia stagnante che non assorbe più la produzione interna. La portata del fenomeno è notevole perché riguarda sia i beni per l’industria sia i consumi dei singoli cittadini. La crisi immobiliare ha avuto un effetto a catena su tutti i comparti arrivando, ad esempio, a colpire gli acquisti di mobili ed elettrodomestici con i prezzi che a luglio sono scesi dell’1,8%. Valore che scende ancora di più se si considera il mercato estero, dato che il costo unitario delle esportazioni di elettrodomestici è sceso del 5%.

La lista di beni con il segno meno sul cartellino dei prezzi va al di là del comparto immobiliare e dei beni collegati. Sono calati i prezzi dei cereali, cibo, indumenti e circuiti integrati per smartphone e computer, calati a luglio del 10%.

La trappola di acciaio e terre rare

Questo flusso di merci cinesi diretto verso i mercati esteri preoccupa soprattutto per due categorie di beni: l’acciaio e le terre rare. Partiamo dal primo. Da due anni i prezzi sono in calo. Ultimo ribasso a luglio, sul 2023, con un -9%. Come detto il mondo immobiliare cinse ha ridotto di molto la domanda e questo ha fatto aumentare le scorte creando un surplus di acciaio. E così, nel periodo tra gennaio e luglio, le esportazioni sono aumentate del 22%. In questo modo grandi quantità di acciaio a buon mercato hanno inondato i mercati. Questo, giocoforza, ha un impatto su tutta la filiera: mette in difficoltà i grandi produttori americani ed europei e parte dell’industria estrattiva che soffre perché il minerale di ferro galleggia intorno a quota 100 dollari.

L’altro settore delicato è quello delle terre rare. L’insieme di materiali preziosi utilissimi in moltissime lavorazioni industriali, incluse quelle per le batterie delle auto elettriche, sta vivendo un complessivo calo dei prezzi. Dopo anni in cui i rialzi sono stati notevoli, anche qui la sovrapproduzione ha portato a dei ribassi, complice del fatto che gli ordinativi di auto elettriche sono scesi. A soffrire è tutta la filiera, inclusa la China Northern Rare Earth colosso statale che si occupa di estrazione e lavorazione che nel primo semestre ha visto il bilancio virare in rosso.

La Cina sulle terre rare si muove a più velocità. Su alcune lascia le esportazioni libere di inondare i mercati, mentre su altre vengono ristrette, come nel caso dell’antimonio le cui esportazioni verranno limitate dal 15 settembre. Queste manovre hanno insospettito diversi analisti. La Cina si muove nel mercato delle terre rare come un monopolista, pompa nel mercato i minerali non riducendo la produzione in un periodo di prezzi bassi potrebbe essere una strategia per colpire altri Paesi e altre aziende che, dagli Usa all’Australia, stanno provando ad erodere quote alla Cina. Il dragone oggi ha una quota di mercato pari al 67% contro il 98% del 2010.

I rischi per la manifattura europea

I prossimi mesi saranno fondamentali per capire come evolverà questa “esportazione di deflazione”. L’Europa ha posto un freno alle auto elettriche cinesi e gli Usa sono al lavoro per creare delle barriere contro l’acciaio cinese che arriva nel Paese attraverso triangolazioni con il Messico. Persino Brasile e vicini latinoamericani stanno ragionando su eventuali dazi.

Pechino non sembra pronta a risolvere la depressione della domanda interna a breve confermando che il piano per passare da “fabbrica del mondo” a Paese maturo con grande industria e mercato interno stabile è rimasto solo nella testa di Xi

Jinping. In più il tempo scorre. Se tra due mesi Donald Trump dovesse vincere le elezioni sono già pronte nuove barriere commerciali con una guerra dei prezzi che il tycoon vuole vincere a tutti i costi. L’Europa sarà pronta?

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