
Da quando Trump si è insediato alla Casa Bianca, ha scelto i suoi più stretti collaboratori e ha annunciato le sue politiche su dazi e guerra in Ucraina, nelle Borse è successo un fatto strano: quelle europee hanno galoppato, Wall Street e Nasdaq invece no. Da inizio anno Piazza Affari ha guadagnato il 12%, Francoforte poco meno, Parigi l’8%; a New York l’indice principale oscilla sopra la parità intorno a +1%, quello tecnologico è addirittura sotto (-1%). I numeri, si sa, cambiano di ora in ora, ma al momento – anche al netto dei cali diffusi negli ultimi giorni di febbraio - la forbice si è aperta a favore dei listini continentali. Perché succede questo? Come si spiega che il “make America great again” valga paradossalmente più per l’Europa?
In due parole la faccenda si può riassumere parafrasando una celeberrima battuta cinematografica di Humphrey Bogart: “E’ il mercato, bellezza”. In altri termini siamo davanti alle conseguenze dei calcoli fatti dagli investitori internazionali di fronte agli annunci di Trump e in parte del suo importante consulente economico Elon Musk.
Il tema dei dazi, per esempio, è per ora risultato più indigesto in Usa che nella Ue. Certo, come si è visto all’indomani dell’annuncio di tariffe del 25% sui prodotti europei, nessuno brinda né a Roma né a Berlino. Ma a livello generale e nel lungo periodo il rischio, per l’economia americana, è dato dall’inflazione importata e dagli effetti che questa potrà avere sui consumi. Una dinamica che rende indirettamente difficile il taglio dei tassi d’interesse, che invece stanno scendendo nell’eurozona permettendo così di compensare almeno in parte gli aumenti tariffari grazie alla migliore competitività dell’euro. Non è un caso che l’export stia continuando a funzionare sia in Germania, sia in Italia, a dispetto della stagnazione economica della prima e della debolezza della produzione industriale nel Belpaese. Ed è un export che in larga scala si dirige proprio negli Usa. Ecco perché il mercato, in questa fase, premia l’Europa. Ed ecco il paradosso: i grandi capitali a stelle e strisce che investono nelle Borse in questa nuova fase politica internazionale vedono maggiori potenzialità nel vecchio Continente piuttosto che negli Usa.
Lo stesso si può dire per quanto riguarda la nuova politica estera della Casa Bianca. Il rischio isolamento della Ue rispetto all’asse Trump-Putin fa intravvedere al mercato un possibile upgrading degli indici europei legato alle maggiori spese militari che i grandi Stati membri dovranno mettere in atto. Inoltre, la vittoria di Friedrich Merz nelle elezioni tedesche apre a uno scenario espansivo per la Germania, che potrebbe imboccare la strada finora tabù di una maggiore spesa pubblica.
Anche in questo caso il mercato applaude e brinda come probabilmente non avrebbe fatto di fronte a una più netta affermazione di Afd, pure auspicata da Elon Musk, ma non verificatasi.In definitiva, a dispetto dei tanti europei preoccupati, il nuovo corso trumpiano, almeno per ora, li sta facendo diventare più ricchi.
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