Bossi jr: non tiferò per l’Italia. E Riva s’infuria

Il figlio del Senatùr, team manager della squadra padana, annuncia che ai mondiali snobberà gli azzurri Motivo: "Il tricolore identifica sentimenti di 50 anni fa". E l’ex goleador: "Se qui non sta bene, se ne vada"

Bossi jr: non tiferò per l’Italia. E Riva s’infuria

Il colpo è durissimo, ma dobbiamo essere forti e farcene una ragione: ai prossimi Mondiali, Renzo Bossi non tiferà per l’Italia. Il doloroso scoop attende il Paese nelle edicole, questa mattina, sulle pagine di Vanity Fair. Il clamoroso annuncio non lascia margini a dubbi e incomprensioni: «No, non tifo Italia».

Ancora è poco chiaro se Junior parli come team-manager della nazionale padana, cioè di una squadra rivale, o come consigliere regionale leghista, il più giovane di sempre per la Lombardia, 22 anni e 13mila preferenze nella provincia di Brescia. Resta la presa di posizione: il Trota, come suo padre l’ha ribattezzato perché non si montasse troppo la testa sentendosi già delfino, lancia un chiarissimo messaggio dal territorio estero in cui idealmente vive. Oltre all’idea di nazionale, gli è estranea pure quella di nazione. È uno straniero in patria. Alla domanda se si senta italiano, così risponde: «Bisogna intendersi su cosa significhi essere italiano. Il tricolore, per me, identifica un sentimento di cinquant’anni fa».

Cinquanta? È veramente indelicato ricordare come Renzo non sia uscito dalle scuole dell’obbligo in modo trionfale, ma in questo caso diventa inevitabile: se il tricolore, nei suoi schemi mentali, nel suo software personale, «identifica un sentimento di cinquant’anni fa», c’è qualcosa che non quadra. Cinquant’anni fa era il 1960. Perché Renzino è così segnato da questo periodo? Quanto al tricolore, allora aveva già un secolo. Ufficialmente. Ma anche di più, storicamente. Le prime bandiere con bianco rosso e verde risalgono addirittura agli anni post rivoluzione francese: per un simpatico gioco della storia che certamente Renzo conosce, sono colori prettamente padani e lumbard. Il rosso e il bianco della città di Milano e il verde della guardia civile locale. Non a caso, la prima Repubblica Cispadana li adotta idealmente nel 1797.

E comunque, siccome non siamo il Cepu e non siamo neppure qui a fare ripetizioni di storia, se il buon Renzo sente che «il tricolore identifica un sentimento del 1960», avrà sicuramente i suoi buoni motivi. Non è questo il punto. A suscitare clamore è la feroce presa di distanze dall’Italia di Lippi. Diciamocelo francamente: a livello statistico, non è l’unico anti-italiano della storia. Con lui c’è tutta una luminosa tradizione di compatrioti snob, che con cadenza quadriennale prendono le distanze dal becerume popolare degli italioti esaltati, e poi ci sono pure i cosiddetti menagrami per ripicca, quelli che tifano contro perché non c’è Cassano, quelli che tifano contro perché non c’è Balotelli, quelli che tifano contro perché c’è Cannavaro. A tutti, in qualche modo, capita lungo una vita intera di trovarsi tiepidi, se non anti, quando parte l’inno di Mameli. Eppure ci si capisce: quella di Junior è tutta un’altra storia. A 22 anni, facendo idealmente ingresso nel mondo politico italiano, tiene subito a precisare quali siano i suoi sentimenti ostili. Almeno un po’ va capito: da quando è bambino si trova circondato da balìe politiche non esattamente patriottiche, basta frequentare due o tre Pontide per comprendere quanto sia sentito il tricolore nell’ambiente. A furia di tettare questo clima, il risultato adulto non suona poi così sorprendente. Difficile pensare a retromarce o ravvedimenti: Lippi e i suoi azzurri dovranno sobbarcarsi anche questo peso, una trasferta già così ardua senza nemmeno l’appoggio di Renzo.

Non a caso, l’uomo immagine della nazionale, il glorioso Gigi Riva, reagisce nel modo più risentito: «È un’affermazione stupida e grave. Forse ha voluto farsi conoscere dicendo qualcosa di clamoroso. Ma l’Italia viene prima di lui e resterà anche dopo di lui. E comunque, se non sta bene qui, può anche andarsene dall’Italia. Nessuno ne farà una malattia...».

Rombo di tuono tuona ancora. Allora aveva un mancino che spaccava le traverse, adesso tira sberle sulle orecchie dei giovani screanzati. Ecco, però, anche lui: se si fermasse qui, sarebbe quasi perfetto. Invece si fa prendere dall’ardore e finisce in fallo laterale: «La nazionale è l’unica cosa che ancora unisce. Nel 2006, abbiamo salvato il Paese e il calcio con la vittoria mondiale. Se oggi siamo apprezzati e stimati, è per quella vittoria...».

Vecchio Gigi, tu sì

bandiera di quasi cinquant’anni fa: non ci allarghiamo. Junior sparerà anche provocazioni, ma dire che la vittoria mondiale ha salvato il Paese è un po’ eccessivo. Bastasse un Mondiale, Tremonti ne comprerebbe subito due.

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