Le Br uccidono Guido Rossa, operaio

Così il grande inviato raccolse le voci di chi era vicino al sindacalista assassinato

Le Br uccidono Guido Rossa, operaio

Dal racconto di un compagno del Consiglio di fabbrica: « Era il 1978 e a Genova il terrorismo già imperversava. Due anni prima in giugno, c'era stato l'assassinio del procuratore della Repubblica Coco e di quei poveri diavoli che gli facevano da scorta. Nel 1977 il sequestro dell'armatore Costa e una lunga lista di gente ferita a rivoltellate: Bruno, Prandi, Sibilla, il compagno Carlo Castellano dell'Ansaldo. Nel 1978 l'omicidio del commissario Esposito e gli agguati a Peschiera, Schiavetti, Gasparino».

«In quell'anno, soprattutto durante il sequestro Moro, si notò un aumento di attenzione dei terroristi nei confronti dell'Italsider. Prima si vedevano dei volantini fuori dalle portinerie della fabbrica o si sapeva di auto bruciate ai capiturno. Ma adesso quei fogli entravano anche in stabilimento. Il 5 maggio, poi, le Brigate rosse ferirono a colpi di pistola il capo del personale, Lamberti. Noi comunisti cercammo di tenere gli occhi ancora più aperti, tentando di scuotere il sindacato».

«Poi arrivò la mattina del 25 ottobre 1978. Un operaio della fabbrica, Francesco Berardi, quello che adesso s'è impiccato in carcere, era andato a prendere un caffè alle macchinette che stanno fuori dall'officina centrale. Un operaio che c'era stato dopo di lui vide un opuscolo dalla copertina giallo-arancione, la risoluzione della direzione strategica delle Brigate rosse, che prima non c'era. Allora chiamò il suo delegato e gli consegnò il documento».

«Il delegato di quell'operaio era Rossa. E qui siamo a un punto di questa storia che tutti dovremmo ricordarci per sempre. Guido avrebbe potuto gettar via l'opuscolo, o tenerselo, insomma avrebbe potuto lasciar perdere, far finta di niente. Ma Rossa sapeva che gli operai contro quella banda di terroristi non avevano altre armi che la denuncia, lo aveva capito prima di tanti altri, ci credeva ed era coerente con le sue idee. Così si fece dire dall'operaio chi aveva sostato prima di lui dinanzi alle macchinette, apprese che era quel Berardi lì e poi andò subito al consiglio di fabbrica. «Strada facendo, sempre all'esterno dello stabilimento, vide davanti a sé Berardi: l'impiegato era in bicicletta e andava nella sua stessa direzione, tant'è vero che poi trovammo uno dei libretti delle Brigate rosse persino sul davanzale della sede del consiglio. Berardi doveva proprio essere un postino da quattro soldi: Guido notò che dove passava rimanevano quegli opuscoli, intravide persino il pacco che nascondeva sotto la giacca».

«Rossa continuò a fare il suo dovere. Denunciò al consiglio di fabbrica quel che aveva scoperto e visto. Il consiglio avvisò il servizio di vigilanza dell'azienda e Rossa ripeté al caposervizio ciò che sapeva. E continuò a fare il suo dovere anche quando lo interrogarono i carabinieri di Rivarolo e il magistrato. Nell'arco di quella stessa giornata, Guido testimoniò più volte la verità. Una verità che alla sera Berardi, finalmente rintracciato, confessò. «A quel punto Guido era già condannato a morte. Nel consiglio di fabbrica ci furono poi discussioni su come comportarsi, se andare in tanti al processo, se non andarci, se sottoscrivere o no una denuncia collettiva (ma questo tipo di denuncia, così ci spiegarono, era un'assurdità giuridica). Il fatto è che fra i delegati esistevano opinioni diverse e queste opinioni si scontravano. C'era persino chi diceva: Se qualcuno vuole andare al processo, ci vada per conto suo, mettendosi in ferie. La verità è questa, ed è una verità amara: al momento del processo, fra i delegati non c'era una coscienza piena di dover camminare tutti assieme accanto a Rossa, di dover essere solidali con lui, anche in modo esplicito».

«È finita che Guido dovette continuare ad avere quel coraggio quasi da solo e sei giorni dopo andò a testimoniare in Corte d'Assise accompagnato soltanto da qualche amico delegato. Era il 31 ottobre e i suoi assassini avevano già cominciato il conto alla rovescia. Sì, abbiamo avuto dei timori, ma anche noi abbiamo realizzato in ritardo che ci trovavamo di fronte a un fatto senza precedenti: Rossa era il primo cittadino che, senza esserci costretto dal proprio lavoro, come i poliziotti o i carabinieri o i magistrati, dava battaglia al terrorismo con un gesto pubblico e concreto, la denuncia e poi la testimonianza in aula».

«Ma Guido sembrava non temere niente. Anzi, era lui che tranquillizzava noi, questo è il dramma! Una mattina che, dopo aver timbrato assieme il cartellino, stavamo andando verso l'officina, feci a Rossa la stessa domanda che gli avevo fatto a Roma: Non hai paura?. Anche questa volta lui mi parlò della montagna, ma rovesciando il discorso di allora: Guarda, io ho scalato di tutto, sempre rischiando la vita per provare il mio coraggio. A un certo punto mi sono reso conto che questo gusto del rischio era senza scopo e poteva sfociare nell'arditismo fine a se stesso. E ho capito che ci vuole più fegato a essere coerenti tutti i giorni. L'ho capito qui in fabbrica, negli anni difficili per noi comunisti, osservando certi compagni che non si erano mai piegati: avevano più coraggio loro attaccati a un tornio che io sul Lirung in Nepal».

«Certo, Rossa sentiva di essere in pericolo. Era un uomo intelligente, capace di analisi politiche, sapeva che le Brigate rosse, per quello che sono, per i sistemi mafiosi che usano per tirare avanti, non potevano permettersi che l'esempio di un Rossa restasse senza una rappresaglia sanguinosa. Eppure Guido non ha cambiato vita. Gli avevano offerto di cambiarlo di turno, ma lui ha rifiutato. Ha continuato a entrare e uscire dall'Italsider sempre nelle stesse ore».

***

«Il 24 gennaio 1979, le Brigate rosse lo hanno ucciso. L'hanno aspettato alle sei e mezza del mattino, nel momento in cui Guido usciva di casa per andare al lavoro, e gli hanno sparato alle gambe e al cuore. Con quel delitto, i terroristi hanno dimostrato quanto sono deboli. Da una parte, dovevano far fuori alla svelta Rossa perché tutti avessero paura.

Dall'altra, però, dovevano pur prevedere la reazione che l'assassinio avrebbe suscitato fra gli operai. E la reazione è stata tanto grande e così piena di rabbia che per le Brigate rosse forse era meglio lasciar vivo Guido».

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