Braccio di ferro per il Dna di Bianchini

È una guerra di strategie, di stilettate, soprattutto di nervi. Un gioco delle parti banale, con una posta in palio enorme: il destino di un uomo e, insieme, la credibilità di un intero sistema. A un estremo c’è la difesa, che caldeggia la sua ovvia tesi, quella di un clamoroso errore; all’altro l’accusa, che è certa di avere chiuso il capitolo, di avere ingabbiato il colpevole, lo stupratore seriale delle notti assai buie di una Roma da incubo. In mezzo c’è un solo uomo, anzi un uomo solo: Luca Bianchini, il presunto maniaco, il mostro con il condizionale, che dice di avere superato «la fase della depressione e della vergogna», e di aspettare, adesso, che «si faccia giustizia».
Ieri è stata una giornata particolare, in cui il conflitto, da sottocutaneo che era, è diventato esplicito, urlato, manifesto. «Riguardo ai test effettuati durante le indagini, manca l’involucro del contenitore del Dna, ciò vuol dire che questo elemento di prova della questura è incompleto. E poi sono stati condotti con troppa frettolosità, mi risulta che siano stati eseguiti in un arco di tempo tra le cinque e le sette ore. So invece che serve almeno qualche giorno», ha detto Giorgio Olmi, il legale che difende il ragioniere 33enne. Prima di aggiungere: «Bianchini non aveva lo stesso linguaggio di quello descritto dalle donne stuprate. Anche i suoi amici mi riferiscono che non ha mai parlato in romanesco, elemento descritto invece dalle vittime degli stupri. Il mio cliente ha la erre moscia e parla un perfetto italiano, visto che la madre è di origine milanese e il padre è stato in Canada per molti anni». Il suo altro legale, Bruno Andreozzi, che già lo fece assolvere quando tutto cominciò, nella ormai celebre aggressione ai danni di una vicina di casa avvenuta nel lontano 1996, ha invece preso tempo quando gli è stato chiesto quando sarà ripetuto il test: «È un’ipotesi difensiva, prima devo studiare le carte».
La questura, d’altra parte, preme sull’acceleratore: «Se il difensore è così sicuro dell’incompletezza del test - ecco la replica degli investigatori - perché non lo fa fare subito da un suo consulente? È ripetibile mille volte, anche stasera o domani. Il Dna è identico a quello rinvenuto sugli abiti delle vittime, non esiste alcun margine di dubbio né di errore». Alzi la mano chi non ravvisa un tono piccato in queste parole carpite in corridoio, lontano dall’ufficialità del protocollo. Di certo, quando queste analisi saranno ripetute, ci si troverà di fronte a una svolta. Intanto si battono strade secondarie, vie traverse che mirano allo stesso traguardo: la verità. Nella perquisizione compiuta due giorni fa dagli agenti della squadra mobile sono stati sequestrati manoscritti e soprattutto medicinali, una scatola di calmanti in particolare. Niente di clamoroso, in verità. Mentre Luca Bianchini, pure lui, ha provato a piazzare il suo intervento a gamba tesa.

In maniera più casareccia e spontanea rispetto a difesa e accusa, senza scomodare procedure formali, codici genetici e dintorni: «Mai stato in giro a tarda ora», ha spiegato. Come dire: avete preso un abbaglio grande così, io in questa storia non c’entro nulla.

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