Brancaleone Cugusi, simbolista della verità ma senza folclore

Il pittore sardo fuse realismo e astrazione, Caravaggio con Piero della Francesca

Brancaleone Cugusi, simbolista della verità ma senza folclore

Un giorno di circa vent'anni fa, mentre preparavo una mostra, mi imbattei in due ritratti, un giovane seduto, Andrea Limutas, e un contadino in verde, Antonio Faccellu. Il pittore era Cugusi (Brancaleone da Romana), e da qui inizia il mio rapporto con lui.

Mi colpì, di quei dipinti, la compostezza, la forza, la verità realistica. Vedere un'opera dal realismo così spavaldo, sostanzialmente dimenticata dalla storia, nonostante la rivalutazione toccata alla Scuola romana o alla pittura di epoca fascista, mi indusse a immaginare una serie di iniziative che toccarono Cagliari, Nuoro e Sassari. Mi sembrò così di contribuire ad allargare il patrimonio artistico sardo, portando luce su un pittore attraverso un percorso che ne consentisse una conoscenza più compiuta.

Si trattava di un artista dall'intensa attività, ma condensata in un tempo breve, dal 1936-37 al 1942, l'anno in cui Brancaleone muore, a trentanove anni, senza vedere realizzato il suo sogno di una mostra a Milano, di una consacrazione fuori dai confini della sua regione. Uno dei limiti di alcuni pittori del Novecento sardo è il folclore, il riferimento alla realtà culturale locale, come accade ai due fratelli Melis, meravigliosi artisti, anche di opere di artigianato, che hanno cercato la modernità senza perdere la tradizione. Non si pone questo problema Brancaleone da Romana, la cui ispirazione artistica scavalca i limiti geografici, sin da subito. Nasce a Romana (Sassari) il 23 settembre del 1903. La madre muore precocemente, dopo aver dato alla luce undici figli. I conoscenti testimoniano la sua precoce vocazione al disegno, prova ne sono i numerosi disegni conservati. Si formò a Lanusei e conseguì il diploma di maturità abbastanza tardi per un problema di intemperanza di carattere, particolarmente libero e refrattario alle regole. Dopo essersi iscritto alla Facoltà di Legge, pensò che il suo destino fosse altro. Compie un viaggio a Roma, dove conosce uno dei più grandi pittori di sperimentazione figurativa, una sorta di Kandinsky italiano, Lucio Carafri, che divenne poi suo insegnante all'Accademia di Belle Arti di Roma.

Opera di Brancaleone Cugusi

Ma in Sardegna aveva coltivato i rapporti con Mario Delitala, uno dei promotori del modernismo artistico, e Stalis Dessì, anch'egli nell'orbita di Delitala, quando quest'ultimo partecipa al pubblico concorso per l'aula magna dell'Università di Sassari, insieme ad altre figure di rilievo, come Filippo Figari, Gianbattista Bernardi, Temistocle Picchioli. E nella commissione c'era Antonio Ballero, altro valoroso artista tardo-simbolista, che fu determinante per la vittoria al concorso di Delitala, al cui cantiere prese parte anche Brancaleone.

Nel 1934, per allargare i suoi orizzonti, Brancaleone, dalla bottega del Delitala approda alla figura più sperimentale, spesso ardita, di Ferruccio Ferrazzi. In questo momento, uscendo dalla Sardegna, produce una serie di opere come Vera e la madre, con riferimento a una cultura tardo-simbolista, dal cromatismo caldo, forte, espressionistico. Il mondo simbolista si ritrova nelle Bagnanti, quadro del 1932, dove l'accademia muove il disegno, e in primo piano sta il bellissimo controluce del giovane bagnante. In questo periodo troviamo ritratti ancora abbastanza convenzionali, come La danzatrice e poi la Testa di ragazza, o anche dipinti di paesaggio piuttosto rigidi, dove si sente prevalere l'idea della fluidità della realtà.

Da qui in poi inizia la ritrattistica più matura, dove emerge la capacità di far parlare questi ragazzi di vita. Il Ritratto alla cognata Cesira e il Ritratto del fratello Guglielmo non sono ancora pienamente compiuti, ma improvvisamente, in essi, si coglie qualcosa di singolare. L'atteggiamento del ragazzo ritratto è più libero, più spigliato. Sul fondo sta una carta da parati dalle decorazioni astratte, alla Mondrian, secondo uno schema che vedremo replicato nei suoi capolavori, in un singolare equilibrio fra Piero della Francesca e Caravaggio.

Nel 1927-28 Cugusi chiosa, e dà notizia evidentemente di averla letta, la monografia di Roberto Longhi su Piero della Francesca. Le note di Cugusi al libro indicano il percorso fra la realtà di una figura presente e una serie di oggetti astratti: cavalletti, telai, finestre, che sono quelli che ritroviamo in un dipinto come Il fumatore. Singolarissima questa immagine del 1938-39 con la finestra, un'ombra sulla finestra, lo sgabello, elementi che affollano lo spazio. E così vale per alcuni suoi memorabili ritratti come quello del Giovane, tra le opere più straordinarie, dove, nello studio sta un ragazzo dall'aria distratta, con un impermeabile che gli copre in maniera precaria la spalla, e sul fondo il ritratto che io vidi per la prima volta. In questa costruzione di elementi, in questo cumularsi di immagini, c'è la volontà di trasformare lo spazio reale, dentro cui sta il ragazzo, in un luogo della mente, esattamente come nella pittura di Piero della Francesca.

Che il realismo sia congiunto con l'astrazione, Caravaggio con Piero della Francesca, ci suggerisce quanto alte siano le fonti di Cugusi. Anche quando tiene conto della realtà sarda, i riferimenti sono radicati nella tradizione della grande pittura: Le cucitrici è un dipinto di formidabile pulizia formale, la Donna che cuce mostra la nitidezza, l'immobilità, il silenzio della pittura di uno Zurbarán o di un Vermeer, che Cugusi aveva visto e studiato. Tutto meno che folclore.

È vero che dal punto di vista dell'esecuzione la sua pittura risale alla fonte di Mancini, cioè alla pittura materica su fotografia, ma la sua idea dello spazio è talmente aperta da produrre dei risultati che sono una sintesi fra realismo e astrazione. Arrivato a questo punto, Cugusi dipinge il Ritratto di Chiccun, e qui il ritratto realista, col mobilio di fine Ottocento, il solito sgabello, l'apertura della porta, si trasforma in una sorta di concetto.

Colpisce in Brancaleone da Romana la tensione dall'esistenza all'essenza, la sua capacità di allontanarsi dalla realtà rappresentata per cercare una visione interiore, misteriosa, nascosta.

Sette giorni prima dell'inaugurazione della mostra alla Permanente di Milano, tanto voluta, ambita, sospirata, Brancaleone da Romana morì.

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