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"Il Britannia lo rifacciamo in Italia"

LA REPLICA DEL SECOLO AFFIDATA A UN GIOVANE ARCHITETTO SPEZZINO Stefano Faggioni: il progetto del leggendario veliero reale nasce dalla volontà di lavorarci... DYNASTY La famiglia cominciò a costruire imbarcazioni in legno nel XVII secolo

"Il Britannia lo rifacciamo in Italia"

di Francesca Nacini

Le finiture in ottone e legno sa­gomato, il cotone grezzo delle ve­le, l’armonia di scafi maestosi che tagliano il mare con eleganza. L’epoca dei grandi yacht a vela de­gli anni Venti sta tornando. A sor­presa, è una matita italiana a ridi­segnarne la leggenda. Prima Lulworth, poi Britannia. I sogni dei Re al timone, quelli del mito che ancora oggi celebriamo nel­l’ipertecnologica America’s Cup, riprendono il mare dal minuscolo porticciolo che non ti aspetti. Ed è il genio di generazioni di maestri d’ascia e carpentieri a fare il mira­colo, a Cadima­re, tra Porto Ve­nere e La Spe­zia. È qui che ha sede lo stu­dio dell’archi­tetto Stefano Faggioni, ulti­mo di una fami­glia che già nel XVIII secolo co­struiva imbar­cazioni e che nella seconda metà del ’900 si è fatta conosce­re con i proget­ti­del compian­to Ugo, primo a intuire l’importan­za e il valore del restauro nautico. A pochi passi dalla targa che an­co­ra ricorda il cantiere d’altri tem­pi dove da tronchi naturalmente ricurvi nascevano madieri e ordi­nate, e vicino alla «Baracca», ora Piccolo Museo del’Arte Navale,in cui con amore si conserva la me­moria della famiglia e del paese, su un tavolo si appilano i disegni originali di barche che hanno fat­to la storia dello yachting e che ar­matori di tutto il mondo affidano a queste mani sapienti capaci di cre­are ancora a mano libera. È nato nel 1969 Stefano Faggio­ni, ma nonostante la giovane età ha già curato tanti prestigiosi alle­stimenti interni ed esterni e ora si accinge a lavorare alla «replica del secolo»,il nuovo Britannia.Sua Al­tezza Reale, il first class cutter, commissionato nel 1893 dal Edo­ardo VII d’Inghilterra - poi reso leggendario da suo figlio, Giorgio V- sta per tornare infatti a nuova vi­ta. Affondato nelle fredde acque della Manica per volontà del so­vrano, poco dopo la sua morte nel 1936, il più nobile dei Big Five (White Heather,Shamrock IV,We­stward, Lulworth e appunto Bri­tannia) che si sfidarono per un de­cennio lungo le coste inglesi, sarà ricostruito in due anni da una fon­dazione di beneficenza che pro­mette di educare al mare i bambi­ni più sfortunati. E a ridare forma agli ambienti spartani che ospita­vano i Re timonieri sarà proprio Faggioni: «Il progetto - dice quasi schernendosi - nasce anche dalla nostra disponibilità a lavorarci». Ma le sue capacità sono talmente apprezzate nel settore che nessu­no, neppure oltremanica, oserà stupirsi che sia un italiano a gesti­re un incarico così delicato. Come racconta il sito web k1britannia. org , a Venture Quays, nell’East Cowes sull’isola di Wight, è già ar­rivato l’imponente scafo di legno fatto riprodurre negli anni ’90 in Russia da un visionario armatore norvegese costretto poi ad abban­donare una così costosa e incerta avventura. Da lì partirà la creazio­ne di un nuovo originale, non identico al Royal Yacht di fine ’800 per ovvi motivi di comodità e nor­mative, ma comunque identico ai disegni e alle atmosfere dell’epo­ca. Così come avviene per i restau­ri, lo studio di Cadimare adotterà materiali e tecniche di una volta andando a cercare ovunque, ma soprattutto in Italia, maestranze artigiane dal sapore antico, per la fusione a cera persa di lampade che non si vedono più o la doratu­ra di dettagli sotto i quali magari celare le più moderne strumenta­zioni. «Scafi del genere- aggiunge Fag­gioni - racchiudono in sé il senso stesso di barca come oggetto uni­co con forme seducenti, non stu­pefacenti; la naturale protesi a ma­re della casa classica edificata per godere della natura che la circon­da e della cultura che l’ha genera­ta ». Stretto come tutti dalla crisi economica, quest’illustre cadi­moto ( così si chiama chi vive a Ca­dimare) ha saputo sopravvivere grazie all’alta specializzazione e alla capacità di reinvertarsi senza paura,prestandosi pure all’archi­tet­tura civile d’interni quando ne­cessario: nell’archivio dello Stu­dio restava intanto un portfolio che nessun’altro al mondo può vantare. Prima del Britannia, infat­ti, sono risorte nello Spezzino al­tre leggende della vela classica co­me Lulworth, l’ultimo dei Big Fi­ve, trasformato per decenni in house boat sui fondali melmosi del fiume inglese Hamble e oggi di nuovo regatante grazie all’investi­mento di un armatore olandese; o come La Spina, primo 12 metri stazza internazionale italiano co­struito dai cantieri Baglietto nel lontano 1929.

Si devono proprio alla famiglia Faggioni pure il restauro del vec­chio gozzo sorrentino Pianosa, di­chiarato bene storico di interesse nazionale dopo un attento inter­v­ento del cantiere Aprea che l’ave­va costruito nel ’ 47, e la nuova vita del Leone di Caprera, goletta di no­ve metri dedicata a Garibaldi da tre emigranti italiani che, animati da passione risorgimentale, com­pir­ono nel 1880 una perigliosa tra­versata da Montevideo a Livorno. Tra le imbarcazioni a motore, i Faggioni hanno contribuito alla ri­nascita delle navette oceaniche Naumachos 82 con il Cantiere Na­vale di Pesaro. Per tutti i progetti vedere il sito www.studiofaggioni.com

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