È bruciata anche l’anima

Da mesi ormai un monotono ideologismo apocalittico si bea a divulgare l'idea che per l'effetto serra moriremo tutti di caldo e sete. Ed il pregiudizio, com'era prevedibile, risulta tanto più eccitato dai roghi che piromani malati o delinquenti venali, accendono nei boschi. Quasi che il fumo degli incendi ripresi di continuo fosse ormai dentro casa nostra, ad arroventare ancor più un'aria che già si respira male. Ma il tutto ha per esito ora soltanto le arrabbiature di Emilio Fede che reclama pene severe anzi sommarie. Neppure loro ahinoi servono però a capire quanto accade o rispondere ai pensieri che invece alla vista di tutti questi roghi dovrebbero nascere. Ad esempio si trascura che un carico di popolazione in eccesso, e alla lunga insostenibile, seguita a concentrarsi sulle coste. Cosicché le foreste crescono in estensione, ma su montagne e colline dove gli uomini sono più rari. E allora non è solo il caldo ad aiutare i pazzi. A renderli ancora più perniciosi c'è il disequilibrio della popolazione. I boschi si sono estesi, ma senza gli uomini che col lavoro e la quotidiana presenza li avrebbero protetti dai pazzi. Detto in termini più grevi: gli uomini rimasti nelle colline o montagne boschive sono vecchi o se giovani con ben rari talenti per il lavoro.
Insomma il fuoco, e i pastori pazzi, arrivano dopo; prima c'è stata la fine di un mondo di tenacie appenniniche, lungo dalla Liguria alle Calabrie. E le chiacchiere della politica non hanno risolto il guaio. Gli agriturismi o i poderi ristrutturati non sono la soluzione. Ci vorrebbe ben altro che quei borghesi italiani o stranieri eccitati dai miti mediterranei, per ridare equilibrio al nostro territorio. Dove, come in Alto Adige, c'è una densità di popolazione bastevole gli incendi non possono e non hanno gli esiti rovinosi di quelli del Gargano. In Italia s'è distrutta una natura lavorata e abitata. Gli abitanti sono finiti a vivere male in città sovrappopolate, mentre il lavoro di una volta è finito nei musei rurali. Col risultato di regalare i boschi agli incendi dei pazzi, e alle splendide foto dei giornali.
Il rettangolo rosso di fiamme contemplate da uno spegnitore di spalle, nella foto della prima su La Repubblica; o quel fumo cupo sullo sfondo di un mare che dal verde vira al nero sul Corriere della Sera; o la lingua di fuoco che s'accende davanti a un pompiere e divide una montagna verde su Il Giornale: hanno fatto ieri splendide le prime pagine. Così belle da dover indurre forse a pensieri desueti, non economici, ma spirituali. Dovrebbe ormai essere evidente a chiunque quanto poco fuoco dell'anima vi sia in questa nostra Italia odierna, senza io, regredita a nazione di vili guitti e veline, persa nel tepidume, e buona soltanto alle chiacchiere. Essa lascia occupare i prati di Perugia ai peggiori islamisti e Palazzo Chigi da comunisti finti altrove ovunque vinti. E, tuttavia, è come se tutto quel fuoco di cui nei cuori degli italiani presenti è rimasto ben poco, dovesse lo stesso alla fine sfogarsi. E impazzisse quindi nel nichilismo dei piromani. Siamo purtroppo regrediti a quella tepida indegnità morale dell'Italia di prima del Risorgimento.

Assistiamo ormai alla fine di una nazione in difetto di fuoco, ovvero di coraggio morale, di veri pensieri. E stanchi, come i pompieri delle foto, guardiamo i fuochi maestosi di cui una vita vile ci ha privati.
Geminello Alvi

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