Le bufale della stampa estera

I corrispondenti dei giornali esteri in Italia per scrivere i loro articoli si affidano soprattutto a "Repubblica" e "Unità". Il cronista del Times, Richard Owen: "La frase della mamma di Noemi? Forse l'ho letta..."

Le bufale della stampa estera

Roma - Da sempre vanno a mangiare al Monserrato, da Pierluigi. Talvolta si spingono da Fortunato al Pantheon, e questo è il posto più vicino al Parlamento e a Palazzo Chigi che riescono a lambire, tagliolini è il pezzo più ricercato. Mai visti alle conferenze stampa governative, in tribuna giornalisti di Montecitorio ne intravedi qualcuno se sta cadendo il governo o abbiamo dichiarato guerra alla Serbia. Dopo cena, specie d’estate, dilagano sulle terrazze romane, tutte targate radical chic come i salotti invernali, frequentate da colleghi italiani sedicenti di sinistra e con spocchia vera sotto il naso, intellettuali in perenne ricerca d’ingaggio, onorevoli democrat di seconda fila. Hanno casa a Trastevere o a Campo de’ Fiori, chi torna in patria o è trasferito in altre capitali, lascia il prestigioso appartamento a chi lo sostituisce. Tutti si innamorano dell’Italia, di Roma e della Toscana in particolare. Molti trovano consorte qui, in quel mondo chiuso e riservato che fa la spola fra terrazze e trattorie in, finendo con l’accasarsi definitivamente. A quel punto, di rigore è il casale in Toscana o sul lago di Bracciano.

Quando lavorano? È un mistero, ma di certo non li incontri negli sbarchi clandestini, nei terremoti, nelle bombe, nei congressi di partito e negli eventi di cronaca reale. Non tutti beninteso, c’è qualche eccezione. E quelli delle tv, Bbc, Cnn, Antena 3, battono il marciapiede molto più dei corrispondenti di carta. Probabilmente lavorano da fermo, nelle loro postazioni che costano una miseria, nella bella sede allestita a spese del nostro Stato senza diritto alla reciprocità. Prima l’Associazione della Stampa Estera stava in via della Mercede, ora è in via dell’Umiltà, a due passi dalla direzione nazionale di Forza Italia. Ma anche lì, non s’affacciano mai.

Come nascono allora, questi bei servizi dall’Italia? Ripeto, ci sono anche meritevoli eccezioni. Ma i più dei corrispondenti, in tarda mattinata compulsano Repubblica e l’Unità dopo che la sera prima han scambiato quattro chiacchiere al ristorante o in terrazza coi soliti amici/colleghi italiani; si confrontano a pranzo con la/il consorte intellettuale più o meno frustrata/o e anch’essa/o sedicente sinistrese, poi vanno in via dell’Umiltà e partoriscono. Peggio dei corrispondenti italiani dall’America e dal resto del mondo, che almeno i giornali locali se li leggono tutti, da destra a sinistra. Ma il peggio del peggio è che se i giornali americani o francesi manco leggono quel che scrivono i nostri, quelli italiani sono affamati, s’ingozzano come oche di quel che scrivono i corrispondenti stranieri da Roma.
Sono circa 400 gli accreditati, e la maggioranza è professionalmente ineccepibile. Ma a dare il la è quel groppone di mischia che s’autoperpetua alimentando il serpentone più idiota che il mondo italiano dell’informazione abbia mai generato: i nostri giornali di sedicente sinistra scrivono, quelli ricopiano, i nostri li riprendono e rilanciano finalmente col marchio dell’autorevolezza.

Esagerazioni? Ma via, come si fa a scambiare nostro Signore col Cavaliere ed arrampicarsi sui vetri in questo modo? Anni fa, ai tempi di «affittopoli», per aver confuso i due Lubrano ambedue giornalisti Rai, su questo giornale che pur non è The Times, il sottoscritto ha dovuto presentare le dimissioni. Però è proprio Richard Owen che tempo fa, in un convegno a Spoleto ha raccontato che sì, «la politica italiana è importante, l’economia anche, ma quando la nostra redazione ha la lista di tutte le notizie drammatiche che provengono dal mondo, si chiama Roma con lo scopo di avere articoli che divertano i lettori. Grazie a Dio c’è sempre qualcosa di questo genere dall’Italia!». I fatti separati dalle opinioni, certo. Siamo sempre stati riempiti di paroloni sulla serietà e sulla sobrietà della stampa anglosassone, salvo poi scoprire che siamo tutti uguali, altro che. Andiamo avanti con la correttezza e la precisione di lor signori? Ancora si sorride di un noto corrispondente inglese che si presentò ad una conferenza stampa della Farnesina in bermuda e busta della spesa. Ma ricorderete Tana de Zulueta, che con le sue corrispondenze per l’Economist s’è guadagnata un seggio nel nostro Parlamento. Ora per The Guardian ha scritto che il solito Berlusca «padrone dei giornali», ha premiato Gianni Riotta per i buoni servigi resi al Tg1, facendolo direttore del Corriere della Sera. A parte che lo han fatto direttore del Sole 24 Ore, ma solo la Tana ancora non sa che l’unico gruppo dove il Cavaliere conta come il due di coppe quando regna bastoni, è proprio quello del Corrierone.

Ma che volete? Così va il mondo della stampa estera romana. Da sempre, da quando Marcelle Padovani (i accentata, perché francese), moglie di Bruno Trentin e corrispondente del Nouvel Observateur, impose la sua egemonia fissando regole, comportamenti, usi e costumi. Contro questa lobby, agli inizi del nuovo millennio ha scatenato guerra vittoriosa Eric Joszef, di Liberation: ma sempre beghe di sinistra, sono.

Nel 2004 un’altra guerra per la guida della stampa estera, Joszef ha perso e se ne è andato sbattendo la porta, ha mollato anche l’associazione. Ha vinto Tobias Piller della Frankfurter Allgemeine Zeitung, più moderato. Ma le trattorie, le terrazze e gli amici romani, non son cambiati. Stessa strada, stessa osteria...

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