Bufera nella Lega, lunedì la resa dei conti finale

Maroni e i colonnelli preparano il faccia a faccia definitivo con Bossi. Il ministro dell’Interno: "A Umberto voglio bene ma quelli del cerchio magico gli raccontano un sacco di balle". Nel mirino la moglie del leader: "Gli fa il lavaggio del cervello"

Bufera nella Lega, lunedì la resa dei conti finale

Roma - Il monolite ha una crepa profonda come un burrone. Parte dal punto più alto, quello da cui dipende tutto, il segretario che decide ancora, con l’autorità del fondatore, ma che fatica a tenere insieme le parti di un quadro impazzito. La spaccatura converge su di lui, Umberto Bossi, un vecchio leone provato da anni di battaglie e da una dura malattia. Correnti vere non ce ne sono, ecco l’anomalia del Carroccio monolite fratturato. I calderoliani, i maroniani, i veneti sempre distinti dai lombardi secondo una rigida geografia politica leghista, i piemontesi di Cota, tutti adesso sono uniti contro l’altro lato della frattura, quelli del «cerchio magico», un esercito esiguo ma accampato attorno al capo, «usato per scavalcare la base, che non li può vedere» dicono gli altri.

Se fossero correnti sarebbe semplice, ma è molto peggio di così. La frattura arriva a Gemonio, fin dentro casa di Umberto Bossi, perciò è così difficile da rimettere in sesto. Si dice sia Manuela Marrone, la moglie di Bossi, il vero capo del «cerchio», il ristretto gruppo di persone che ha occupato i posti di comando nella Lega. Non tutti, solo quelli finora disponibili senza troppi spargimenti di sangue (i due capigruppo, i media padani sfilati di punto in bianco al decano Stefano Stefani per consegnarli al Trota, loro pedina). Sono i prossimi obiettivi quelli più importanti e sanguinosi, la Lega lombarda e le segreterie provinciali, sfiorati da un blitz nei giorni scorsi.
I resistenti si sono riconosciuti in Bobo Maroni, il più coraggioso, e il più temuto dal cerchio. «A Bossi voglio un mondo di bene, il problema sono loro, che lo consigliano male, gli mettono in testa cose false solo per giochi di potere che non fanno parte della Lega» ha detto Bobo ai suoi. Accuse mirate che punterebbero a instillare dubbi in Bossi sulla fedeltà dei suoi colonnelli, sulla loro capacità. «Abbiamo fatto male in Lombardia per colpa di Giorgetti», «Cota ci ha fatto perdere Novara e Domodossola», «Maroni si è montato la testa, sta mettendo a rischio l’alleanza con Berlusconi», ecco i veleni che verrebbero iniettati nella mente del Capo.

Molti leghisti si ricordano in queste ore di quell’intervista fatta da Bossi al Corriere, con Rosy Mauro al suo fianco, in cui investì ufficialmente il Trota come futuro segretario federale della Lega. L’elemento familistico è importante nella tattica del cerchio, creatosi nei mesi successivi all’ictus del Senatùr, quando lady Bossi scelse le persone che potevano star vicino al marito, quelle che potevano accedere alla stanza del Capo. Lì si formò appunto il «cerchio magico», che poi è esploso negli ultimi anni, fino all’acme di questa Pontida dove, avendo dovuto subire l’acclamazione popolare di Maroni, ha preparato il commissariamento del partito in Lombardia, poi sfumato ad un passo dalla firma.

Quando Bossi non ci sarà più dovrà essere un altro Bossi a tenere il comando, altrimenti sarebbero i colonnelli, che hanno il consenso, a guidare la Lega. La candidatura di Renzo fu un’operazione del cerchio, per preparare quel sentiero. E lo stesso si sta facendo con Roberto Libertà, fratello minore del Trota, che in più è anche bravo a scuola.

«Così non si può andare avanti, è un disastro, caro Umberto quelli ti raccontano un sacco di balle», questo sarà il messaggio che dopodomani, in via Bellerio, porterà a Bossi una delegazione di colonnelli, da Maroni a Calderoli a Cota, forse Zaia. I vertici leghisti sono convinti che si sia raggiunto un punto di non ritorno, che se non si risolve il problema alla radice il partito potrebbe uscirne a pezzi veramente. Nel frattempo però il lavorìo del cerchio continua. «Maroni si è montato la testa, vuole fare il capo ma il capo è Bossi» dicono quelli del cerchio per convincere i leghisti di essere loro gli ortodossi. Ma nessun maroniano o calderoliano contesta il capo, verso cui provano un affetto fraterno. Contestano i «lavaggi del cervello» che gli vengono fatti e che lo allontanano dalla base. Lunedì si proverà il chiarimento definitivo, ma oggi «Bossi sarà con Reguzzoni a Magenta, per un comizio» racconta un leghista, prevedendo qualche effetto shampoo.

I fedeli del cerchio sono pochi. Nove deputati, sette senatori, un consigliere regionale in Lombardia (Longoni), oltre all’assessore Monica Rizzi, l’eurodeputato Speroni (suocero del «Reguz»).

I feudi sono Busto Arsizio, terra di Reguzzoni, e il bresciano, dove opera Bruno Caparini, vicino alla famiglia (nel collegio di Brescia fu infatti candidato il Trota). Da tempo si invoca una resa dei conti. Pontida ha fatto deflagrare la situazione. Forse stavolta ci siamo davvero.

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