Le bugie di Prodi sulla riforma della Costituzione

Paolo Armaroli

Alle primarie Romano Prodi ha riscosso un innegabile successo. Se le sconfitte sono immancabilmente orfane, le vittorie hanno sempre parecchi padri. E le primarie dell’Unione non fanno certo eccezione alla regola. Così, da un lato il Professore ha cantato vittoria, dall’altro i partiti di centrosinistra non sono stati da meno. Sia l’uno sia gli altri sono convinti di aver rafforzato grazie al consenso il loro potere. E può ben darsi che, come i ladri di Pisa, finiscano per litigare in quanto ognuno vorrà prevalere. Fatto sta che il successo può giocare brutti scherzi. Ma sì, può dare alla testa. È per l’appunto quanto sta capitando al leader dell’Unione. Per averne la riprova basterà leggersi il suo discorso del 20 ottobre ai parlamentari dell'Unione, riportato dall'Unità il giorno successivo.
Com’è noto, giovedì l’assemblea di Montecitorio ha approvato in terza lettura la riforma costituzionale, che ora passa al Senato per il varo definitivo. E giovedì, guarda caso, era il 20 ottobre. Quando, a ferro caldo, Prodi ha dato in escandescenze. Su questa maggioranza il Professore, da quando è tornato felice come una Pasqua in Italia, ne ha dette di cotte e di crude. Però mai si era spinto al punto di imputare alla Casa delle libertà di togliere agli italiani l’anima. Neppure Nanni Moretti saprebbe partorire una simile facezia. Per Prodi la Costituzione è l’anima di un popolo. E quei cattivacci del centrodestra intendono disfarsene, incuranti delle grida di dolore che si levano da ogni parte. Ora, se è vero che l’attentato alla Costituzione è un reato, quella vil razza dannata che osa prenderla a calci dovrebbe subire le severe pene previste dalla legge. Questo corollario, si capisce, è farina del nostro sacco. Ma interpreta piuttosto fedelmente i retropensieri dell’illustre cittadino di Bologna.
Se questo è l’incipit dell’allocuzione ai suoi prodi, potete immaginarvi il resto. Nessuno meglio del Professore sa raccontarci le storielle ad usum delphini. Per compiacere la sinistra e l’ultrasinistra, dà a intendere che la nostra Costituzione «ha tenuto unito il Paese sulla base di un grande patrimonio comune di valori condivisi». Valori condivisi? Quando mai! Se De Gasperi non avesse vinto con i suoi alleati di centro le elezioni del 18 aprile 1948, non ci sarebbe stato neppure bisogno di un colpo di Stato da parte delle sinistre. Sarebbe bastata una particolare interpretazione della Carta costituzionale per allineare la nostra democrazia a quelle dell’Est europeo.
Le critiche alla riforma costituzionale lasciano poi il tempo che trovano. Uno come Prodi convertitosi per via delle primarie alla democrazia plebiscitaria, o meglio alla sua scimmiottatura, non ha titolo per demonizzare la presunta onnipotenza del premier. Non è vero che il capo dello Stato si trasformerà in un re Travicello, perché sarà sempre più organo di garanzia. La Corte costituzionale manterrà integre le sue competenze e, quanto alla composizione, la riforma non fa che ricalcare le risultanze della commissione D’Alema. I diritti dei cittadini non sono minimamente in discussione. La devoluzione correggerà le storture della riforma del titolo V approvata in solitudine dal centrosinistra nella passata legislatura in zona Cesarini. E ci vuole la temerarietà di Prodi per giudicare la Lega un movimento separatista. Il Professore finge di ignorare che proprio quando la Lega appariva tale, veniva corteggiata di continuo dagli attuali sostenitori di Prodi e considerata da D’Alema una costola della sinistra. La verità è che Prodi le spara più grosse che può perché confida così di vincere le elezioni e affossare la riforma costituzionale per via referendaria.

Il suo guaio è che si può ingannare tutto il popolo talvolta, parte di esso ogni volta, ma non si può ingannare tutto il popolo per sempre. Come disse Abramo Lincoln nel discorso tenuto a Clinton l'8 settembre 1858.
paoloarmaroli@tin.it

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