I l George W. Bush che ieri mattina raccontava ai giovani imprenditori italiani, in partenza cinque mesi per gli States, che il suo è un Paese accogliente e generoso, dove tutti possono farcela, e che li pregava di non ascoltare la propaganda contraria, non aveva niente da spartire con l'immagine del criminale imperialista diffusa dalle brutte facce dei manifestanti romani, gli stessi che per fortuna non hanno più neanche un seggio in Parlamento.
È stato un presidente coraggioso, non per caso eletto nel 2000 dopo otto anni di idillio con i democratici, sempre non per caso rieletto nel 2004, quando la guerra in Irak si prospettava già con chiarezza a long and dirty job, una storia lunga e faticosa. Se poi, nell'insultarlo, l'Unità, il quotidiano del Partito democratico, ha le stesse tentazioni, peggio per loro. Non intendo tornare sul paradosso grottesco tra il presidente del grande Paese, nostro liberatore ed alleato, contestato, e il dittatore sanguinario dell’Iran, che ringrazia stampa e imprenditori italiani. Mi limito a ricordare agli uni e agli altri quanto più grave sarebbe il già pesante ricatto del petrolio, se in Irak regnasse ancora Saddam Hussein.
A George W. Bush tocca la sorte di numerosi altri leader repubblicani: l'odio e la calunnia dei comunisti e dei radicali mentre sono in carica, la considerazione e la consacrazione della storia, quando se ne vanno in pensione, addirittura da morti. È banale da dirsi, però è vero.
Andò così per Harry Truman, che ebbe il coraggio di ordinare di sganciare le bombe H su Hiroshima e Nagasaki; per Ronald Reagan, il cowboy vituperato che mise fine alla Guerra fredda; per Roosevelt, Theodore, il repubblicano riformatore di inizio Novecento al quale il democratico col cervello, Bill Clinton, dichiaratamente si ispirava. Lui ha incominciato la guerra contro il terrorismo mondiale, contro l'Islam che progetta la riconquista dell'Europa. Fosse stato solo il capo di un gruppo di oligarchi, sarebbe stato più prudente, non si sarebbe esposto a rischio di far sembrare gli anni della guerra un affare personale. La storia lo onorerà, saprà distinguere tra le molte virtù e i pochi errori.
L'Europa rifiuta Bush anche perché rifiuta la logica della guerra, evento necessario, perfino indispensabile fra una pace e l'altra. Le nostre sono sempre, ipocritamente, spedizioni di pace. Ci raccontiamo che l’operazione Enduring Freedom in Afghanistan fu ed è un affare prevalentemente americano, sapendo di mentire. L'invasione dell'Afghanistan fu autorizzata dall'Onu in virtù dell'articolo 5 della Nato, come reazione all'attacco subito da un Paese aderente al Patto Atlantico.
Oggi è una missione della Nato, però ci muoiono soprattutto soldati inglesi e americani. Anche in Irak le cose non stanno come le raccontano da noi. La scelta di George W. Bush non sarà tradita, anche se il prossimo presidente non dovesse essere l'eroe John McCain. Il generale David H. Petraeus infatti non è più soltanto il padre della strategia che ha sconfitto Al Qaida in Irak, è anche lo stratega delle operazioni militari in tutto il Medio Oriente, fino ai confini con la Russia, tornata pericolosa, e alla Cina, che lo è sempre rimasta.
Probabilmente, dal ranch, il vecchio Bush junior i risultati li vedrà. In Italia per l'ultimo viaggio ha ritrovato un governo amico, ma vorrà vedere anche qualche prova concreta in più.
Ps.
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