da Washington
Il presidente degli Stati Uniti George W. Bush stringe la vite delle sanzioni al Sudan per il Darfur e quasi tutto il mondo, stavolta, pare stia dalla sua parte. Quasi perché cè una grossa eccezione, del resto prevista: la Cina, che da qualche tempo si è accollata il compito di «salvare» il regime di Khartum dalle sanzioni internazionali. Lo fa con massicce importazioni di petrolio, potrebbe farlo anche usando il suo diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza per bloccare le nuove misure punitive che gli Stati Uniti si apprestano a chiedere allOnu.
Quella americana è in parte una proposta, in parte una decisione già presa unilateralmente. Lannuncio di Bush in proposito è chiaro, gli accenti privi di compromessi come è nello stile di questo presidente. Gli Stati Uniti chiederanno al Consiglio di sicurezza dellOnu di «aumentare la pressione» sul regime sudanese e sul presidente Omar al Bashir perché «già troppo a lungo la popolazione del Darfur ha sofferto nelle mani di un governo che è complice nei bombardamenti, negli assassini, negli stupri di civili innocenti. In quattro anni di conflitto sono morte più di 200mila persone. Tali azioni meritano di essere chiamate col loro nome: genocidio».
Di conseguenza gli Stati Uniti inaspriranno comunque le sanzioni fino a che il governo di Khartum non permetterà una presenza più consistente di forze di pace dellOnu nel Darfur e non metterà fine alle violenze delle milizie janjaweed. Nel mirino ci sono ora persone e enti con nome e cognome: Ahmad Muhammed Harun, ministro di Stato per i «problemi umanitari», accusato di crimini di guerra dalla corte internazionale dellAja, Awad Ibn Auf, capo della polizia militare sudanese, ma anche Khalil Ibrahim, capo del movimento ribelle «Giustizia ed eguaglianza».
Inoltre trenta ditte sudanesi che operano nel settore petrolifero, messe al bando dal sistema bancario americano ed escluse da qualsiasi transazione commerciale con gli Usa. Misure dure, respinte finora solo dal governo di Khartum, che le definisce «ingiuste e intempestive» e invita la comunità internazionale a «ignorare e condannare queste sanzioni».
A parte la Cina, nel fronte internazionale, con qualche variazione di tono, lassenso è completo e ciò rappresenta una grossa novità trattandosi di una iniziativa di Bush. Scontato ma vigoroso il sì della Gran Bretagna: al numero 10 di Downing Street abita ancora per qualche settimana Tony Blair, forse il più convinto assertore dEuropa delle «guerre umanitarie». Un suo portavoce ha ribadito che, quanto sta accadendo in Sudan è «inaccettabile».
Più significativo, forse, latteggiamento della Francia, che su questa politica è tradizionalmente cauta ma che si è subito dichiarata «aperta a discutere eventuali nuove sanzioni o linasprimento delle attuali». Probabilmente è un segnale, non inatteso, del nuovo presidente Nicolas Sarkozy e anche del ministro degli Esteri, debuttante, Bernard Kouchner, fondatore di «Medici senza frontiere» ma in certi casi disposto a imporre gli aiuti umanitari anche con la forza.
Ancor più nettamente favorevole il responsabile per la politica estera e la sicurezza dellUnione europea, lo spagnolo Javier Solana, che ha espresso un sì di principio a nome della Ue. Ma incombe il no della Cina, che non esclude il ricorso al veto in Consiglio di Sicurezza.
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