C’erano una volta i gangster di Sergio Leone

Esce la prima versione italiana integrale del romanzo da cui il regista trasse il capolavoro con De Niro Morte, amicizia, donne: l’educazione criminale di quattro ragazzi che volevano conquistare l’America

C’erano una volta i gangster di Sergio Leone

Facciamo come Noodles. Mettiamoci comodi sul divano e cominciamo a «tirare». Magari non una pipa di oppio, ma un romanzo, che è cosa più salutare. S’intitola The Hoods, perché hood è la contrazione di hoodlum, cioè gangster, bandito. I gangster di cui parla il libro li conosciamo tramite C’era una volta in America, il capolavoro di Sergio Leone datato 1984 molto liberamente (e mirabilmente) tratto da qui. Oggi The Hoods, con il titolo che lo ha reso complice e mandante dell’omonima opera colossale, vera pietra miliare della storia del cinema, esce per la prima volta in italiano in edizione integrale (Mattioli 1885, euro 20, pagg. 428, a cura di Benedetto Montefiori - la prima edizione statunitense risale al ’52).

A scriverlo, ovviamente, fu uno del ramo, un piccolo Plutarco di strada che inanellò una serie di vite parallele e malavitose. Si chiamava Harry Goldberg, ma firmò con il cognome, meno giudeo e più anonimo, di Gray. Il cineasta romano s’innamorò perdutamente di quei malavitosi romantici, dei loro ammazzamenti e delle loro bevute, delle loro ragazze e dei loro cappotti stazzonati. E filtrando il tutto, aspirandolo come una boccata di sigaro Corona, assaporò l’ebbrezza proustiana di riannodare i fili del tempo perduto.

Al posto della madeleine, l’infanzia di David «Noodles» Aaronson, di Maximilian «Max» Bercovicz, di Philip «Cockeye» Stein e di Patrick «Patsy» Goldberg conobbe la charlotte russa da cinque centesimi. Dolcissima, desideratissima. E costosissima, perché cinque centesimi erano, nella New York degli anni Venti, un bel po’ di soldi, soprattutto in tasca a quattro ragazzini ebrei dell’East Side. Acquistare una charlotte russa voleva dire investire sul futuro, fare il passo più lungo della gamba per assicurarsi pochi minuti di incontro ravvicinato con la puttanella Peggy.

«Mi sentivo appagato - scrive il Narratore di Gray, cioè Noodles -. Avevo un quarto di dollaro per il contatore, un coltello nuovo e un libro da leggere». Ma era un appagamento momentaneo, che durava lo spazio di una sera. I quattro piccoli cavalieri dell’Apocalisse dei quali seguiamo le gesta, figli di un dio minore e con il braccino corto, vogliono capovolgere il proprio misero destino e diventare dei pezzi grossi. Accolti sotto l’ala protettiva del Professore, libero docente in falsi & affini, si procurano lavoretti in giro e crescono in fretta. «Con la paga settimanale di dieci dollari come base, cercammo e trovammo altri mezzi per aumentare il reddito, nel settore più difficile e concorrenziale che esistesse: la delinquenza».

Il bivio al quale Gray e Leone si separano, nello sviluppo della narrazione, è la galera di Noodles. Nel libro è una breve parentesi, conseguenza di una rapina in drogheria, mentre nel film è un buco nero di dieci anni, poiché il Nostro ha vendicato Dominick, la mascotte del gruppo uccisa dal giovane boss Bugsy con un colpo di pistola, accoltellando a morte il nemico e ferendo un poliziotto. Ciò consente al regista di aprire e chiudere a più riprese la «forbice» del tempo per tagliarla su misura, come un abito di gran classe, sul corpo di Noodles-De Niro.

Così nel romanzo le peripezie di «Noodles la Lama, Il Casanova di Broadway» procedono in linea retta. Le vicende della sua banda, la «Combination», capeggiata da Max, hanno un ritmo incalzante scandito da tonalità via via grottesche (l’episodio della falsa macchina per stampare soldi spacciata ai fratelli Himmelfarb) o in stile hard boiled (la trasferta per «sistemare» il casino taroccato di un politico senza scrupoli). Il crescendo di violenza è la droga che alimenta un delirio senza più limiti spazio-temporali, la palla di neve che si trasforma in slavina.

Il traguardo rappresentato dal milione di dollari di cui favoleggiavano, imberbi delinquentelli, con il colpo del secolo alla Federal Reserve, è il miraggio che compare e scompare dall’orizzonte di Noodles e soci. Un po’ Amici miei e un po’ Iene, perennemente affamati di panini e bionde facili, una volta affrancatisi dall’universo chiuso del ghetto i quattro protagonisti fanno fortuna con il Proibizionismo, ma non sanno fermarsi in tempo prima di sbarellare. Ciò che nel film di Leone è la spina dorsale dell’intera recherche, l’amicizia fra Noodles e Max, nel libro è soltanto una rotella d’un meccanismo senza ritorno. Nessuna redenzione, nessun ravvedimento, ma una corsa a perdifiato fino all’ultima stilla di energia.

«Mi allungai sulla branda. Joey accese la lampada sotto la mia pipa. Tutta la disperazione, la paura, il dolore, se ne andarono lentamente. Ad ogni boccata, una dolce pace mi fluiva nelle vene e in tutto il corpo. Poi sogni, sogni variopinti e strani, attraverso i vapori dolciastri della pipa». Il respiro di Noodles-De Niro, in conclusione, si fa più regolare, pacificato.

L’illusione che tutto fosse soltanto un’illusione, un sogno, accarezza la mente del lettore-spettatore. Ma ecco una voce sui titoli di coda. È quella di Gray: «Ebbene, vedete, sono ancora qui, dopo tanti anni, a raccontare la mia storia».

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