Il tema è cruciale: riguarda lo stato della ricerca in Italia. Su come intervenire per rilanciarla, ricercatori, esponenti dell'industria e Istituzioni, si sono confrontati in occasione del convegno «La ricerca in Italia. Cosa distruggere, come ricostruire», organizzato dall'Università Bocconi di Milano, Novartis e Gruppo 2003. I dati non sono confortanti: l'Italia investe in ricerca un terzo della Finlandia (1,25 per cento del Pil contro il 3,8 per cento) e le imprese italiane, quando finanziano la ricerca universitaria, lo fanno con l'equivalente di 14.400 dollari a ricercatore, contro i 97.900 della Corea del Sud e i 72.800 dei Paesi Bassi. Inoltre, il nostro Paese, spicca per numero di ricercatori nazionali che si aggiudicano finanziamenti Erc (European reasearch council, i più prestigiosi e ricchi finanziamenti europei per la ricerca), ma che poi decidono di utilizzare presso istituzioni straniere. Possibile migliorare il quadro? «Il sistema di ricerca italiano ha bisogno di un urgente intervento di rianimazione, le diagnosi non mancano e i mali italiani sono ben noti a tutti» sottolinea Maria Grazia Roncarolo, presidente del Gruppo 2003. «Si susseguono senza sosta nuovi segnali di allarme: preoccupante performance dei giovani ricercatori italiani agli starting grants Erc, fuga inarrestabile dei cervelli, mancanza di fondi premiali per valorizzare il lavoro dell'Anvur .
«Una cabina di regia che governi priorità e investimenti, dove l'industria possa svolgere un ruolo trainante per colmare il gap tra la ricerca di base e il raggiungimento di outcome concreti per l'innovazione», afferma Guido Guidi, head Pharma Region Europe Novartis. «Al settore privato, in altri termini, va riconosciuto un ruolo di partner nelle collaborazioni con l'università, così da potere definire politiche sostenibili, valorizzare al meglio le risorse del paese, in primo luogo i molti giovani talenti di cui disponiamo, e moltiplicare le best practice, avvicinandoci agli standard europei».
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