Arabia Saudita, non è tutto oro quel che luccica

Tra le voci di un calciomercato in tono minore, si moltiplicano i peana per la Pro League saudita, il nuovo Eldorado del calcio. Eppure le ombre del nuovo protagonista dell'universo del pallone non mancano. Esaminiamone alcune insieme

Arabia Saudita, non è tutto oro quel che luccica

Luglio è un mese marcato in nero sul calendario dei giornalisti sportivi; giorni e giorni con voci che si inseguono, scoop che si sgonfiano in cinque minuti, suggestioni che durano meno degli amorazzi sotto l’ombrellone. Per fortuna quest’anno è arrivato il nuovo spauracchio, la Pro League saudita con le sue offerte irrinunciabili e la sua sfilata di campioni disposti a lasciarsi dietro il calcio che conta in cambio di una montagna di petrodollari. Ed ecco che, inevitabili, le pagine si riempiono di analisi fin troppo generose sui nuovi padroni del pallone e le magnifiche sorti del nuovo campionato delle stelle. Eppure le ombre che circondano questa piccola rivoluzione non mancano, come le voci che invitano alla prudenza prima di trasferirsi in quella che rimane una teocrazia autoritaria, dove i diritti umani sono legati al volere del sovrano. Proviamo quindi a vedere perché l’Arabia Saudita potrebbe essere solo l’ultimo di una lunga serie di campionati che hanno provato, fallendo miseramente, a togliere i riflettori alle superpotenze storiche del calcio.

Basteranno le figurine?

Inutile nascondersi dietro un dito: se lo scopo dei nuovi padroni del calcio saudita, il ricchissimo fondo PIF, era quello di conquistarsi le prime pagine dei giornali mondiali, ci sono riusciti in pieno. Dopo 49 anni di anonimato quasi totale, ravvivato ogni tanto da una vittoria in Champions asiatica o un buon risultato ad un mondiale, l’Arabia Saudita vuole reinventarsi come la nuova mecca del calcio miliardario, tutto lustrini e paillettes, in salsa halal ed analcolica, ovviamente. Dopo il botto del trasferimento di Cristiano Ronaldo a dicembre, questi giorni vedono l’assalto all’arma bianca delle tante squadre saudite, controllate in maniera più o meno diretta dalla cassaforte della famiglia reale saudita. Gli agenti delle squadre top, visto il portafoglio quasi illimitato a disposizione, si lanciano all’inseguimento di chiunque abbia fatto bene in un campionato di vertice. Talvolta va bene, dal Pallone d’oro Karim Benzema alla stella del centrocampo della Francia Ngolo Kante al laziale Milinkovic-Savic. Altre volte le proposte vengono rimandate al mittente: da Allegri a Mourinho, da Immobile a Osimhen.

Kante Real Madrid Chelsea

L’elenco delle stelle, più o meno giovani, con più o meno anni al top ancora nel serbatoio è comunque impressionante. Molto, però, dimenticano una cosa: la missione del fondo PIF non è di fare una super-squadra, come poteva essere il PSG o il Manchester City, ma di creare da zero una lega top. Hai voglia di comprare campioni, quando hai 18 squadre, delle quali solo 6, quelle di Riyadh e Jeddah, hanno a disposizione tifoserie nutrite ed appassionate, di figurine ne devi comprare davvero tante. Certo che vedere una neopromossa come l’Al Ahly che si regala un talento come Roberto Firmino fa impressione ma l’ultima volta che ho controllato, anche in Arabia si gioca undici contro undici. L’idea di base è quella che si è rivelata fallimentare in Cina e nella MLS: se prendi un numero limitato di grandi campioni, il livello medio del campionato si alza. In America hanno dovuto cambiare rotta in fretta e furia, dopo aver rimediato sconfitte su sconfitte in Champions dalle squadre messicane. In Cina il governo ha deciso che l’esperimento era fallito, chiudendo baracca e burattini. Siamo sicuri che in Arabia finirà in maniera diversa?

Firmino Liverpool Aston Villa

L’incognita competitività

L’intervento a gamba tesa della famiglia reale, attraverso il solito fondo PIF, nel quale è stata fatta affluire gran parte dell’immensa ricchezza petrolifera del paese, è stato reso necessario dallo stato certo non brillante della gestione del campionato saudita negli ultimi anni. Nonostante i soldi non mancassero, a parte le squadre della capitale, il resto della lega era in condizioni quasi pietose: stadi sempre vuoti, lontani anni luce da quelli delle squadre di pari categoria non dico in Inghilterra ma anche in campionati “minori” come la Eredivisie. Invece di ridurre il numero delle squadre per offrire un prodotto di migliore qualità, si è scelto di aumentarle, arrivando a 18 come la Bundesliga. Con tutto il rispetto del mondo, l’Arabia Saudita non è certo la Germania, paese con una lunghissima tradizione e cultura sportiva. Fino a non molti anni fa, fare sport era considerato quasi una roba da pezzenti tra i ricchi affiliati alla famiglia reale. Le ragioni sono ovvie: nessuno spenderebbe mai un centesimo per comprare i diritti di un campionato dove ci sono due, tre squadre top e quindici squadre materasso. La vendibilità del prodotto Pro League la farà più la qualità media delle squadre impegnate che i grandi nomi in campo, magari un po’ in là con l’età e poca voglia di dare l’anima per i colori di una squadra della quale nessuno ha mai sentito parlare.

Milinkovic Savic Lazio Udinese

I problemi, poi, sono altri, anche ambientali: il campionato partirà ancora prima della Serie A, il 10 agosto, per chiudersi a maggio. Bene, quindi, per i broadcasters dell’emisfero nord; male, malissimo per chi dovrà ritrovarsi a giocare in uno stadio in una cittadina nel mezzo al nulla, con spalti quasi vuoti e temperature alle stelle. Magari gli scontri tra le squadre di vertice attireranno qualcuno dei milioni di followers delle superstar pagate a peso d’oro ma cosa dire del resto, quello che giustifica il prezzo dei diritti televisivi? Al momento la competitività rischia di essere il vero tallone d’Achille di questo nuovo esperimento. Niente di quanto visto finora fa pensare che i sauditi riusciranno dove sia la Cina che gli Stati Uniti hanno fallito.

Tasse, è concorrenza sleale?

Tra le tante analisi che ho letto ultimamente sul nuovo Eldorado del calcio mondiale, non ho quasi mai sentito parlare di due problemi niente affatto trascurabili. A parte attirarsi le invidie e l’inimicizia di gran parte del mondo del calcio, la Pro League saudita gode di un vantaggio che qualcuno potrebbe definire come concorrenza sleale. Una delle ragioni che spingono ingegneri e medici ad andare a vivere in un paese illiberale dalla pessima reputazione in quanto a diritti umani è il fatto che nel regno wahabita non ci sono imposte sul reddito. Gli stipendi faraonici offerti ai campioni delle grandi d’Europa non sono così assurdi se si considera che il lordo in Arabia equivale al netto. Prendiamo uno dei campioni della Serie A: quando ai tifosi si dice che prende tot milioni di stipendio non si sta dicendo tutta la verità.

Karim Benzema Al Ittihad

A meno di non usufruire del controverso decreto crescita, il costo reale per la società è più del doppio. Aggiungi il costo del cartellino e le commissioni per gli agenti ed il “regalino” per convincere i tifosi a fare l’abbonamento in tribuna costa uno sproposito. Non è la prima volta che certi campionati vengono accusati di concorrenza sleale: l’epoca d’oro della Liga fu alimentata in gran parte dagli sconti fiscali che il governo garantiva per i nuovi arrivi. Una volta finiti, si scatenò la caccia all’evasore, con Cristiano Ronaldo e Messi che passarono più di un guaio. Ora che tutti sperano di vincere al Superenalotto arabo, si preferisce tacere ma prima o poi qualcuno solleverà il problema.

Il pasticcio della comproprietà

Cosa dire poi del vero e proprio elefante nella stanza: come fanno Uefa e Fifa a prendere sul serio un campionato dove le quattro squadre top hanno lo stesso proprietario e dove, bene o male, il resto della lega è comunque riconducibile alla famiglia reale, che in Arabia Saudita fa il bello e il cattivo tempo da sempre. Come faranno a giustificare l’inasprimento sulle regole per le comproprietà a livello europeo, per evitare ad esempio che due squadre dello stesso fondo d’investimento si diano una mano a vicenda in Champions League? Cosa dire poi della regolarità delle competizioni internazionali alle quali partecipano, dalla AFC Champions League al rinnovato mondiale per club? Come rassicurare gli scommettitori dopo un risultato particolarmente opportuno per la squadra favorita di questo o quel potentato locale?

Infantino Ceferin Finale Champions 2023

Potranno forse fare causa ai dirigenti della Pro League in quelle corti saudite, controllate direttamente e in maniera alquanto stretta dai proprietari del campionato? Va bene che nel mondo del calcio internazionale il più pulito ha la rogna, ma qui si rischia di iniziare a scavare una volta toccato il fondo. Tessete pure le lodi di questo nuovo Frankestein del calcio, questa creatura artificiale nata dal nulla per portare gloria e un altro Mondiale invernale ad un autocrate stizzito dalla sparata di quei parvenu qatarioti.

Personalmente non riesco a vedere che problemi e pericoli per un sistema calcio già da anni sull’orlo di una crisi di nervi. Spero di sbagliarmi ma temo che questa potrebbe essere davvero la goccia che fa traboccare il vaso.

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