Chiamiamola Serie A delle sorprese. A due giornate alla fine del girone d'andata, era da decenni che non assistevamo ad un campionato così bello e avvincente. Se Inter, Napoli e Atalanta sembrano proiettate a giocarsi lo scudetto fino alla fine, Milan e Roma sono le due delusioni e la Juventus lascia ancora delle perplessità, un'aria nuova sta arrivando dalle panchine. Tra conferme (Inzaghi, Conte e Gasperini), delusioni (Fonseca) e giudizi rimandati (Thiago Motta), non mancano gli allenatori rivelazione.
La rivoluzione di Baroni
La prima grande sorpresa porta il nome di Marco Baroni, arrivato quest'estate sulla panchina della Lazio nello scetticismo generale, dopo la rivoluzione tecnica che ha portato all'addio di Luis Alberto e di capitan Immobile. Pochi giorni dopo l'annuncio, i tifosi biancocelesti scendono a migliaia in piazza per contestare Claudio Lotito. Il timore è quello di un ridimensionamento con la scelta di un allenatore, che in carriera aveva fatto la spola tra la Serie B e la bassa Serie A. L'esperienza vissuta da Baroni a Verona con la salvezza conquistata nonostante i gravi problemi societari e le cessioni dei calciatori migliori, era però da considerarsi a tutti gli effetti un grande capolavoro, proprio perché ottenuta tra mille difficoltà e peripezie.
Già dal calciomercato, però si poteva capire che le idee del nuovo tecnico fossero molto più radicali di quanto la sua pacatezza non lasciasse trasparire. L’arrivo di giocatori molto atletici in conduzione come Nuno Tavares, Dia e Noslin segnalavano l’intenzione di cambiare completamente rotta rispetto al calcio di Sarri. Costruire una squadra da transizioni e pressing, che giocasse più con l’aiuto dello spazio che del pallone. Una squadra che, per l’appunto, mettesse in archivio il gioco di posizione.
Baroni imbocca questa strada con grande decisione e già alla fine di agosto trova la quadra. L'idea di puntare su una coppia di attaccanti veri come il Taty Castellanos e Dia, con dietro la coppia di centrocampo composta da Rovella e Guendouzi, sembra venire dritta dagli anni '90. Di fatto in campo la Lazio usa principi di gioco riferibili a quegli anni. Un esempio: preferisce costruire il gioco passando per i corridoi laterali, aggirando il pressing avversario invece che costringersi a passarci attraverso con il rischio di perdere palla in posizioni pericolose."Spesso dico alla squadra di bucare in catena, in fascia, ma poi quando si può cambiar fronte e riempire l'area lo facciamo", ha detto Baroni dopo la larga vittoria a Como.
Ed è esattamente quello che prova a fare la Lazio, soprattutto a destra, grazie all'abilità dall'altro lato di Nuno Tavares. L’idea è quella di schiacciare il campo non solo in verticale ma anche in orizzontale, che in fase di possesso significa, fare densità nella zona del pallone, attirare la squadra avversaria da un lato, per poi colpirla con un cambio di gioco o con un cross in area. Importante anche la scelta, di mettere la coppia d’attacco in verticale anziché in orizzontale, e di chiedere di venire incontro a cucire al gioco non a Castellanos, a cui piace giocare tra le linee, ma a Dia, che invece a Salerno si muoveva in profondità alle spalle della linea avversaria.
In questo modo la Lazio perde qualcosa nella precisione tecnica quando c’è da risalire il campo palleggiando ma ne guadagna in imprevedibilità nell’attacco dell’area, dato che Dia può entrarci in un secondo momento dopo aver contribuito alla fase di costruzione. Se poi la Lazio non attacca subito l'area, ma la sua manovra torna indietro, è Castellanos che tende ad uscire fuori per partecipare alla rifinitura dell'azione. Inoltre, è interessante vedere come la squadra di Baroni accetti di correre rischi. Non è raro vedere, quando la Lazio prova a recuperare palla sulla trequarti avversaria, provando a comprimere l’avversario verso una delle due linee del fallo laterale, concedere situazioni di parità o addirittura inferiorità numerica dall’altro lato del campo. Una dimostrazione di grande coraggio ma anche un rischio da maneggiare con cura contro le squadre più forti. Baroni stupisce anche per la gestione perfetta di tutte le risorse in rosa.
Da Pedro, che sta vivendo una seconda giovinezza, a Dele Bashiru e Noslin, che quando chiamati in causa forniscono un contributo importante. Lo ha ripetuto dal primo giorno il tecnico biancoceleste:"Non esistono titolari e riserve. Per me sono 20 titolari". Poi per rafforzare la propria idea, dopo la vittoria a Napoli ha postato un messaggio chiaro: "Non servono pochi, non bastano tanti, ci vogliono tutti". Di sicuro se a questo punto della stagione la Lazio è in piena zona Champions, ai quarti di Coppa Italia e al primo posto in classifica in Europa League, il merito è tutto di Baroni. E ora i tifosi sono tutti con lui e sognano una grande stagione.
Firenze sogna con Palladino
Aveva un compito difficilissimo Raffaele Palladino, chiamato a raccogliere l'eredità di Italiano sulla panchina della Fiorentina. La dirigenza viola sceglie un allenatore diverso dal suo predecessore, più paziente col pallone tra i piedi e meno aggressivo in non possesso. Dal suo approdo in Serie A, il tecnico campano ha saputo mostrare facce diverse. Arrivato come discepolo di Gasperini, ha continuato a seguire il solco del suo maestro, inserendo però nuove idee, a seconda delle esigenze e degli interpreti.
L’inizio, però, non è dei migliori. La Fiorentina fatica a superare i playoff di Conference League e pareggia con le neopromosse Parma e Venezia, prima di raccogliere solo un punto tra Monza e Atalanta (che la batte in casa). La svolta arriva alla settima giornata, con il 2-1 sul Milan. Da allora, in Serie A la Viola supera il Lecce per 6-0 e la Roma per 5-1, allungando il filotto fino a otto vittorie consecutive prima dello stop nella trasferta di Bologna. Il cambio più evidente rispetto a Italiano riguarda l’interpretazione della fase difensiva. Dopo un primo tentativo a tre, Palladino optato per la difesa a quattro, con Comuzzo e Ranieri coppia centrale e Dodò e Gosens terzini.
Più che la linea arretrata, però, cambia l’atteggiamento in generale. La Fiorentina è meno aggressiva, aspetta più bassa e ripiega un po’ di più rispetto al passato. Nonostante la scelta di non aggredire da subito, la linea difensiva rimane alta, così da tenere la squadra compatta. Il fatto di rimanere corti rende più agevole, per i difensori, uscire in avanti sull’avversario, che a causa della densità fa più fatica a girarsi. Chi più di tutti si è avvantaggiato di questo nuovo modo di difendere è il giovane Pietro Comuzzo, che a sorpresa si sta affermando come miglior centrale della squadra. Il classe 2005 ha tempismo nelle uscite in avanti e può avvalersi di un fisico da corazziere. In fase offensiva i giocatori di Palladino si stanno dimostrando a loro agio ad attaccare a campo aperto, situazione alla quale il Franchi non era più abituato dopo gli ultimi anni passati a cercare un dominio territoriale che la povertà tecnica della rosa di Italiano non era in grado di sostenere.
Oggi, se la Fiorentina recupera palla sulla trequarti, sa quali riferimenti cercare per risalire il campo. Colpani e Gudmundsson hanno lo spazio per dribblare e condurre. Moise Kean, proponendosi spalle alla porta, tiene botta ai difensori e riesce a mandarli fuori strada coi controlli orientati, grazie ai quali si gira e ribalta il campo. Anche Beltrán ha dimostrato qualità simili, eludendo la pressione col primo tocco. A ciò si aggiungono scelte forti tutte volute con convinzione da Palladino e che stanno dando i loro frutti. Dalle esclusioni di capitan Biraghi e Martinez Quarta, al voler puntare su tutti i costi su David De Gea, che si è subito imposto come il miglior portiere del campionato all'esplosione di Kean, già a quota 9 gol e capace di trasformare qualsiasi occasione in gol.
Se arrivare in fondo alla Conference League è ormai un'abitudine, ci sono tutte le premesse per vivere una stagione entusiasmante, in piena lotta per un posto Champions. Un traguardo che manca dai tempi di Prandelli. Di sicuro Palladino ha riacceso l’entusiasmo tra i suoi tifosi. Dopo tanti anni, Firenze sogna.
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