Fronte mare fa un caldo pazzesco. Raggi che lacerano la pelle e anche quei folti capelli aggrovigliati. Francesco deve tuffarsi un mucchio di volte per smorzare l'afa. Poi però lo chiamano dalla spiaggia. Si sbracciano proprio. "Moriero! Moriero!". Intravede la sagoma del padre. Esce fuori di corsa. Strizza il costume. "Vieni dai, che manca uno a Carletto". Carletto sarebbe Mazzone. Il suo Lecce ha troppe defezioni e deve giocare contro la Juventus. Serve anche il ragazzino.
Francesco, diciassette anni appena, si asciuga e corre in ritiro. In ascensore incrocia Carletto. "Emozionato?". Lui annuisce. "Tanto non me ne frega, per me giochi uguale". Lui non pensava neanche di andare in panchina. Invece è titolare sulla stessa fascia di Cabrini. Che nei primi dieci minuti se lo trangugia. Poi Checco prende le misure e gli assesta un tunnel e un contro - tunnel. Cabrini la prende malissimo e lo falcia. Rissa totale. Finirà 3-0 per la Signora. Ma lui, da quel giorno lì, non uscirà più dal campo.
Quel primo dribbling ad un campione di quel calibro è il manifesto della sua irriverente sfrontatezza. Perché la qualità che da subito identifica il ragazzo, ala purissima che ama l'ingaggio, il duello, non è il talento naturale. Quel che più fa la differenza è che lui se ne frega. Non importa chi gli si para davanti. Fosse anche Franz Beckenbauer o l'ultimo dei difensori della più malandata serie pugliese, lui intende saltarlo. Un'attitudine mentale da zaffiro raro. I suoi tecnici gongolano.
Del Lecce diventa cardine inamovibile, prima di essere prelevato dal Cagliari. In Sardegna contribuisce a riportare la squadra dentro un piazzamento europeo dopo un'era geologica. Poi passa alla Roma, dove si disimpegna con esaltante disinvoltura al fianco di Totti. Moriero impenna il livello delle sue prestazioni e, con esse, sale anche il lignaggio delle pretendenti. Fino all'Inter, una di quelle storie sorte quasi per caso, ma che poi si rivelano benedizioni potenti.
E pensare che lo aveva preso il Milan a parametro zero. Poi però era sorto un intrallazzo che aveva incasinato tutto: André Cruz aveva firmato per entrambe le milanesi. Per districare la matassa, Galliani lo offre a Gigi Simoni, che lo accoglie benevolo. Appena calpesta il suolo della Pinetina riscontra però un dilemma. A destra gioca già Javier Zanetti. Per scalzarlo non basterebbe un mese di giaculatorie. Però il tecnico non è uno sprovveduto. Si accorge subito della sana tracotanza pressata dentro al calcio di Moriero. Che salta puntualmente l'argentino, Bergomi, Simeone. E lega da matti con Ronaldo, Zamorano, Recoba.
Il Fenomeno è abbagliante. Agli altri restano soltanto rivoli di luce. Francesco gli lustra le scarpe dopo i gol. Ma resta il primo tra gli umani. Lo scudiero più degno. Intarsia quella prima stagione interista, tanto inattesa quanto balsamica, con una quantità di assist prodigiosa. E quando segna lui raramente si arrende alla banalità. La rappresentazione più plastica di questo concetto è forse racchiusa nel suo gol al Neuchatel Xamax, in Coppa Uefa. Cross di Sartor dalla destra, rovesciata sotto l'incrocio di Checco.
Un giorno Ronaldo lo tira per la manica: "Senti, con Figo pensavo di aver visto il più grande esterno al mondo, ma mi sbagliavo". Complimenti fenomenali. In nerazzurro perderà uno scudetto dopo un oceano di polemiche per il rigore non concesso su Ronnie, contro la Juve, ma solleverà una coppa Uefa.
Di lui gli interisti ameranno - fino al 2000, l'anno della separazione - l'estro e il coraggio inestinguibili. E forse è proprio all'Inter che si realizza più compiutamente il culto di Moriero. Molto più di un semplice sciuscià.
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