Heysel, la tragedia che sconvolse il calcio europeo

Heysel non è più un quartiere di Bruxelles che dà il nome a uno stadio, ma un luogo del dolore. Lo è per la tragedia del 1985 che vide gli italiani sostenitori della Juventus vittime della follia degli holigaans inglesi

Heysel, la tragedia che sconvolse il calcio europeo

Heysel è un nome lugubre nella storia del calcio contemporaneo. Così come Superga, più della meravigliosa basilica dominante Torino, evoca un luogo del cuore, il ricordo della tragedia aerea in cui il 4 maggio 1949 morì il Grande Torino, anche Heysel non è più il quartiere di Bruxelles dove a sede il più grande stadio della capitale belga e d'Europa. Heysel significa lacrime e il lato deteriore del calcio: la violenza degli hooligans. Heysel sarà - purtroppo - una parola funesta dopo la giornata del 29 maggio 1985 in cui l'attuale Stadio Re Baldovino fu funestato dalla violenza dei tifosi inglesi del Liverpool contro gli italiani sostenitori della Juventus poco prima della finale di Coppa dei Campioni.

Si deve alla grande sensibilità giornalistica di Giovanni Minoli la volontà di riproporre, tra le puntate della storica trasmissione Mixer, quella che sarà ritrasmessa dalla Rai il 18 maggio e avrà come tema proprio la tragedia dell'Heysel. Vedendo come ospite d'eccezione uno spettatore di prima mano della tragedia: Marco Tardelli, campione del Mondo del 1982 con l'Italia e giocatore della Juventus che quella sera funesta conquistò la sua prima Coppa dei Campioni.

La carica degli hooligans verso il Settore Z dell'Heysel voleva essere un tentativo di dimostrare la forza del tifo organizzato dei teppisti venuti dall'Inghilterra contro le curve su cui si erano stabiliti italiani e tifosi belgi. Memori del contrasto con i tifosi della Roma nella finale vinta dal Liverpool all'Olimpico l'anno precedente proprio contro i giallorossi, gli hooligans caricarono con violenza una massa innocua e disorganizzata di tifosi ordinari, scatenando il panico. "I rossi" del Liverpool " si spostavano verso i bianconeri, ritmicamente, a orda, dal punto più lontano a quello più vicino alla tribuna centrale. E nell’aria volavano clave, aste e persino qualche mattone che la polizia belga non aveva pensato di rimuovere", ricorda Storie di Calcio sottolineando come le mosse degli hooligans avessero quasi una dinamica militaresca.

La seconda e la terza ondata schiacciarono i tifosi italiani contro le paratoie del settore. I tifosi italiani rimasti schiacciati iniziarono a venire calpestati, travolti dalla calca, precipitati dagli spalti. In pochi minuti, prima dell'inizio della partita previsto per le 20.15, furono coinvolte negli scontri oltre 650 persone. Trentanove di loro sarebbero morti: 32 italiani, 4 belgi, 2 francesi e anche un cittadino britannico, il nordirlandese Patrick Radcliffe, che lavorava come archivista alla Comunità Economica Europea. Giampiero Boniperti, presidente della Juventus, si accorse dell'immensità della tragedia così come Edoardo Agnelli, figlio dell'Avvocato Giovanni Agnelli che saputo dell'accaduto non entrò allo stadio. Le responsabilità della Uefa, accusata di aver scelto uno stadio fatiscente, sono state lungamente discusse per la corsa alla finale. Ma il problema più grande apparve senz'altro il peso del caos hooligans, affrontato duramente in patria dal governo britannico di Margaret Thatcher e che arrivò a essere responsabile di una strage che sarebbe costata all'Inghilterra cinque anni di esclusione dei suoi club dalle coppe europee.

La Uefa ebbe responsabilità anche nel gestire l'immediato post-evento, quando dopo una surreale attesa in uno stadio in cui ambulanze e polizia portavano via morti e feriti la partita fu disputata in un clima pesante. Con i giocatori dei due club, incolpevoli spettatori della tragedia, paralizzati dalla tensione in campo. "Quando al circo il trapezista muore, entrano i clown" pare sia stato il caustico commento di Michel Platini, stella della Juventus, di fronte alla decisione dell'Uefa di scaricare sulle squadre il ruolo di diversivo per mantenere l'ordine pubblico. La Juventus vinse 1-0 per un rigore inesistente, realizzato dallo stesso Platini, per cui il Liverpool non protestò nemmeno. I Reds non potevano vincere la Coppa dei Campioni quella sera, era chiaro. Lo era agli spettatori d'Europa, che avevano un'idea più chiara degli stessi giocatori della tragedia. Lo era anche per i club, i cui atleti vivevano una situazione che aveva, ricorda Storie di Calcio, i "contorni sfumati del sogno". O ancor peggio dell'incubo.

Un maestro di narrazione calcistica come Gianni Brera in un articolo pubblicato da Repubblica seppe dare, il giorno dopo la tragedia, la natura precisa dell'accaduto: "Mentre tento di esprimere la mia mortificazione di uomo di sport, i superstiti dell’ immonda mattanza passano ciascuno a raccontare la propria storia, piena di orrore e degna di umana pietà. Lo Stadio, il caro ma obsoleto Heysel, è come gravato da una cappa di angoscia", notava Brera. Aggiungendo i timori per un avvelenamento degli animi tra le comunità inglesi e italiane per l'evento tragico. Vent'anni dopo, quando Liverpool e Juventus tornarono a affrontarsi in Champions League, il mondo era cambiato e i primi a riconoscere l'orrore del 1985 gli stessi sostenitori dei "Reds".

Che accolsero ad Anfield i bianconeri con una grande ovazione e una coreografia inequivocabile recitante "Friendship" ("Amicizia"). Il fenomeno hooligans era stato debellato, nel frattempo. Ma non il dolore per i famigliari delle vittime dell'Heysel. Luogo del cuore e del dolore per il calcio europeo.

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