Scivola tra le vie di Torino a bordo di una dimenticabile Fiat Duna, poi apre lo sportello e fa scendere il figlio, che imbraccia lo zainetto. La macchina la paga la Juventus. Le spese scolastiche pure. Anche perché lui prenderebbe pure 2 milioni di lire al mese, ma a conti fatti uno viene devoluto tutto al Governo sovietico. Bella fregatura. Quella ancora più grossa però pare averla presa la vecchia Signora, che si era infatuata di questo talentuoso trequartista in estate, al punto di consegnargli la dieci che era appartenuta al divino Michel Platini. Invece Oleksandr Zavarov, per i più intimi semplicemente Sasha, è un calciatore smarrito per tutto il suo tempo italico. I bianconeri l'hanno ingaggiato per la stagione 1988/89, sborsando 7 miliardi delle vecchie lire. Una parte è andata alla Dinamo Kiev, detentrice del cartellino. Un'altra al Ministero dello Sport. Un'ultima fetta direttamente allo Stato.
Zavarov sarebbe pure un fantasista munito di intuizioni e applicazioni sontuose. Ha trascinato l'Urss a Euro '88, sbattendo fuori l'Italia e cedendo soltanto in finale, al cospetto della fotonica Olanda di Gullit e Van Basten. Anche alla Dinamo è leader carsico e fattuale. Il colonnello Lobanovs’kyj, al timone di entrambe le squadre, stravede per lui: "Come Maradona, Zavarov ha una tecnica incredibile, può decidere una partita in qualsiasi momento, sa organizzare il gioco e difendersi". Magari giusto un tantinello esagerato, ma se lo dice uno così come fai a dubitare? Oleksandr diventa così il primo calciatore sovietico in Serie A, anche e soprattutto grazie ai buoni e remunerati uffici del governo Gorbaciov. Quel Cremlino lì apre finalmente le porte all'Occidente. Esporta i suo talenti più fulgidi come operazione di marketing tangibile.
Sascha, banalmente e in fretta ribattezzato "Zar", diventa anche a tutti gli effetti un calciatore professionista, visto che in Unione Sovietica le cose funzionano diversamente. Ma la grande attesa per quelle presunte giocate risolutive evapora in fretta. Al timone della Juve c'è Zoff. Contemplandone le prime movenze, decide che il russo detiene l'acume tattico per disimpegnarsi da regista. Arretrato rispetto alla sua naturale vocazione, Zavarov tentenna, si ingolfa, fluttua evanescente sulla mediana. Eppoi c'è quella cosa che non si ambienta nemmeno fuori dal campo. Rifiuta categoricamente di imparare l'italiano. Viaggia tutto il tempo con l'interprete. Mica facile imporsi se prima non comunichi. Il primo anno in maglia bianconera si rivela in fretta fallimentare. Sbatte un paio di palloni dentro a inizio stagione, poi si dissolve gradualmente. Il pubblico gli rumina contro preposizioni velenose. La dirigenza è perplessa.
La Juve però c'ha puntato e non intende arrendersi. Per questo, nel tentativo estremo di indurre una catarsi, decide di affiancargli un connazionale nella stagione successiva. Il prescelto è Sergeij Alejnikov: arriva dalla Dinamo Minsk, fa il centrocampista e i bianconeri l'hanno strappato al Genoa. L'hanno chiamato per risollevare il morale a Zavarov, ma i due condividono in sostanza soltanto l'idioma. Sergeij viene dalla scuola di Malofeev, agli antipodi rispetto al Colonnello. Inoltre è vitale, estroverso, desideroso di intersecarsi con il nuovo ambiente. La società suggerisce che le due famiglie si frequentino, la cosa va anche avanti per un po', ma l'amicizia non decolla mai. In campo nemmeno lui è il giocatore scintillante ammirato a Minsk, ma quantomeno se la cava. Anche se sul suo conto Brera sentenzia, inflessibile: "Lento e legnoso". I tifosi invece si sentono di nuovo sedotti e raggirati dal sogno sovietico. Lo osservano muoversi compassato nel mezzo e gli affibbiano crudelmente il nomignolo "Alentikov".
Il resto è un progressivo avvitarsi. Zavarov, pur spostato accanto alla punta, continua a ciondolare e sempre più spesso invoca provvidenziali infortuni. Nel frattempo si sbriciola il muro di Berlino e l'entourage che l'aveva sponsorizzato vacilla. Sul finire della stagione fa sapere a tutti che vuole tornare alla Dinamo Kiev. Zoff lo esclude dalla doppia finale di coppa Uefa contro la Fiorentina. E quando segna al Lecce, all'ultima di campionato, la scena è surreale: non esulta e nessuno lo festeggia. Con la rifondazione Juve se ne andrà paradossalmente al Nancy, la squadra che aveva lanciato Platini.
Con 7 gol in sessanta presenze ed una serie di prestazioni da arresti domiciliari, la già intricata missione di rimpiazzarlo degnamente è naufragata di brutto. Anche Alejnikov fa i bagagli a fine anno: il nuovo tecnico Maifredi fa sapere che ci dorme comunque benissimo la notte.Epilogo mesto di un flirt mai scoccato. Marketing sovietico 0 - Vecchia Signora 1.
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