In fondo è un po' come portare il mare a Milano. Mica facile, a pensarci. Però lui se ne è convinto da tempo. Quei ragazzi che ha visto giocare sulla costa di Livorno andavano a ritmi forsennati ed esaltavano le loro capacità tecniche. Il merito? Tutto del gabbione. Una recinzione metallica che impedisce al pallone di uscire fuori. Rimbalza e resta sempre in gioco. Così non ci si ferma mai. Corrado Orrico sorride compiaciuto quando gliela installano ad Appiano Gentile. Sì, si dice, porterà il mare a Milano.
Stagione 1991/92. L'Inter ha appena concluso il ciclo con Trapattoni, che sta tornando alla Juventus. E il presidente Ernesto Pellegrini sfodera una pensata che prende tutti in contropiede: "Prendiamo quell'Orrico, alla Lucchese ha fatto bene". Livorno e Lucca, e mettiamoci pure Massa, dove Corrado è nato. La provincia toscana traslata nella metropoli. Potrà funzionare? Sarebbe bello, ma è probabile di no.
L'Inter si affida a Jurgen Klinsmann e Walter Zenga, Giuseppe Baresi e Nicola Berti, Lothar Matthaus e Giuseppe Bergomi. Ha qualità in tutte le porzioni del campo, ma bisogna capire fino a dove potrà spingersi con questo nuovo allenatore che per poco non portava la Lucchese, neopromossa in cadetteria, in Serie A. Orrico, si dice in giro, dovrebbe essere la risposta interista ad Arrigo Sacchi, "Ma con uno stipendio da operaio specializzato", aggiunge lui, "per sentirmi in sintonia col partito che ho sempre votato".
Il presidente Pellegrini gli propone un contratto annuale e lui lo implora: "No, facciamolo mensile". La motivazione è limpida: vuole essere giudicato progressivamente, in base ai risultati raccolti. Anche perché, sostiene, "Qui non è tanto questione di capire se arrivo a mangiare il panettone, qui non so se arrivo alla vendemmia".
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Comunque il clima in ritiro è gioioso. La squadra osserva con entusiasmo l'approdo di questo nuovo tecnico, chiedendosi se davvero il gabbione non possa sprigionare qualità rimaste inespresse. Anche i tifosi sono già dalla sua: "Orrico nel cuore, vogliamo il tricolore", gridano alla presentazione, il 16 di giugno. Sì, l'assalto al titolo è possibile, secondo questi entusiasti.
A Lucca l'avevano ribattezzato "l'Omone" per via della sua stazza, ma adesso si è un po' asciugato. A Milano ci arriva con 20 kg in meno ed un pugno di idee che sembrano chiarissime: "A Lucca avevo tutti giocatori brevilinei, era come una Abarth con i motori tirati al massimo. Qui ho a disposizione una Mercedes".
Per la stampa Orrico è una manna celeste. Agli allenamenti si presenta spesso con un libretto di Charles Bukowski che pende da una tasca, perché, dice, "di lui mi piace la capacità di capire a fondo le asprezze più nascoste che sono in ognuno di noi. Mi piace la volontà di cadere dentro il male per scoprire poi da lì delle verità più importanti. Sono rimasto ai decadenti, ai crepuscolari e a Leopardi”. Nei ritagli tra una seduta e l'altra parla "di filosofia, di Heidegger” insieme a Klinsmann. Legge anche molti libri di botanica.
Intanto l'impostazione trapattoniana è già soppiantata e Corrado, tenacemente, costruisce la sua gabbia - materiale e concettuale - intorno all'Inter. E poi, difesa a tre e marcatura a zona, il progresso è servito. Solo che le cose non girano. Dopo un inizio di campionato promettente, con due vittorie e un pareggio, arriva una pesante disfatta a Marassi: quattro sberle dalla Samp campione d'Italia. La squadra pare riprendersi espugnando l'Olimpico (1-0 alla Lazio), ma poi sbatte contro una serie di pareggini che ne rallentano il percorso.
Nel frattempo l'inter esce dalla coppa Uefa contro il non certo irresistibile Boavista. "Giocare ad Oporto o a Wembley per me è come giocare a Lucca, non mi emoziono", aveva detto. Però non si emozionano neanche i lusitani, che lo sbattono fuori. La squadra, parte il coro degli opinionisti, "ha già smarrito la serenità e la zona non si può fare se non va bene a tutti".
La discesa è lenta, ma progressiva. Perde contro la Juve, pareggia con il Genoa, vince contro Cremonese e Bari. Poi però arriva quel funesto 19 gennaio 1992. A Bergamo l'Atalanta vince 1-0 e lui dice basta. Dimissioni irrevocabili. "Ho fallito - dice - è bene che qualcun altro prosegua il mio lavoro". La squadra è stordita, quasi non ci crede. Zenga minaccia di buttarsi nel naviglio se Orrico se ne va. Bergomi e Baresi tentano di dissuaderlo. Klinsmann pure: "Non l'hanno mai fatto lavorare come voleva, dal primo giorno".
Niente da fare.
Corrado sente che le cose non gli stanno venendo come vorrebbe, preme tutto in valigia e toglie il disturbo. Al suo posto, per il resto del campionato, arriva Luis Suarez. Orrico tornerà in provincia: la gabbia, da quelle parti, funziona meglio.
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