Il Manchester City mostra che il Re Calcio è nudo. Perlomeno nella florida Premier League costituitasi Superlega d'oltre Manica. A prescindere da quale sarà l'epilogo, e ci potrebbero volere dai due ai quattro anni, la narrazione del calcio degli sceicchi e dei capitali globali su cui si è costruita la Premier League regina dei campionati europei appare depotenziata. Sul City è piombata l'ombra dello scandalo e della frode finanziaria, che si credeva potenzialmente spazzata via dall'aumento delle disponibilità e dei fondi garantiti dalle proprietà globali del calcio inglese.
Dal 2012, il Manchester City ha speso più di quasi tutti gli altri club del mondo, Chelsea escluso, sul mercato, anche grazie alle corpose sovvenzioni dell'United Emirates Group, il fondo di proprietà della famiglia bin Zayed e legato a Abu Dhabi che controlla il club. Le accuse della Premier League di non aver fornito informazioni finanziarie accurate che garantiscano una visione veritiera ed equa della posizione finanziaria del club, in particolare per quanto riguarda le sue entrate, dal 2009 al 2018, aprono un punto-chiave del legame tra calcio e globalizzazione. Il fenomeno, cioé, del cosiddetto sportwashing. Un fenomeno che vede i club calcistici acquistati da fondi riferibili a Paesi non democratici, autoritari e extraoccidentali diventare asset pregiati per l'immagine di questi Stati ma al contempo chiamati, per fini di consenso, ad ottenere risultati.
I regimi autoritari di oggi e di ieri usano lo sport come strumento di propaganda. All'immagine degli Emirati come investitore lungimirante e attivo fa gioco l'idea di un Manchester City vincente, e in grado di coltivare il sogno Champions, a prescindere dal fair play e della correttezza finanziaria delle manovre chiamate a contribuire al risultato sportivo. Così come alle dittature dell'Est Europa facevano gioco i successi sportivi dei loro club o al regime di Mussolini quelli dell'Italia ai Mondiali.
In quest'ottica, il City aveva rappresentato una squadra capace di costruire un modello gestionale e operativo per il calcio globalizzato degli sceicchi, dei miliardari e delle nuove proprietà, in grado di coniugare fidelizzazione di diversi campioni, investimenti faraonici e risultati sul campo. La macchia dello scandalo è grave oltre la questione dei lunghi tempi che serviranno per accertarne la veridicità, dai due ai quattro anni, perché apre alla prospettiva che altri abbiano potenzialmente abusato delle maglie larghe. E getta un cono d'ombra sulla Uefa.
Come ha ricordato su Minuti di Recupero Valerio Moggia, uno dei più preparati e sottovalutati commentatori calcistici italiani, "già nel 2020 il Manchester City era stato sotto accusa da parte della UEFA per aver infranto il Fair Play Finanziario: il club inglese era accusato di coprire le proprie spese attraverso ricavi di sponsor controllati dallo stato emiratino, cioè dalla stessa proprietà del City". Il Tas prima e la Uefa poi fecero passare in cavalleria questa condanna. Ma ora c'è da aggiungere il fatto che la Premier League non conosce prescrizone di alcun tipo per eventuali violazioni sportive di questo tipo, e potrebbe andare fino in fondo rispetto alla confederazione europea. Che si troverebbe una volta di più nella parte "lassista" di fronte alle violazioni delle regole. The show must go on a livello europeo è stato il motto nel mondo del calcio.
Ma la musica potrebbe iniziare a smettere di suonare.
E il fatto che lo scandalo City si apra poco dopo quello della Juventus lascia presagire che per il calcio delle regole allegre l'ora della libertà di manovra sia finita definitivamente. Con buona pace di obiettivi e ambizioni di proprietari appartenenti a ogni tipo di potentato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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