Milano - Due anni fa comparve in piazza Duomo, mescolandosi anonimo tra la folla che festeggiava lo scudetto rossonero. Gerry Cardinale stava per diventare proprietario del Milan, anche se non sapeva che aveva sette Champions in bacheca. Ma aveva le idee chiare: «Io odio perdere, mi sento un vincitore e il futuro del Milan sarà costruito con la determinazione e la volontà di vincere».
Due anni dopo, chissà cosa starà pensando, dopo aver visto danzare nella stessa piazza sotto la pioggia il popolo nerazzurro... Nel frattempo Cardinale ha portato il Milan dallo scudetto a un 5° e a un 2° posto a distanza siderale dall’Inter. L’ha portato in semifinale di Champions (eliminato proprio dai cugini) ma poi l’ha visto uscire nei gironi e addirittura nei quarti di Europa league.
Ha pensato di costruire una squadra vincente: voleva Thuram, ma l’ha preso l’Inter, cercava Frattesi, ma è finito all’Inter, inseguiva Taremi, ma andrà all’Inter... Ha cominciato a perdere i derby già sul mercato. Continuando ad ispirarsi alle sue teorie americane (“Il calcio europeo è fatto su misura per Moneyball. Si costruisce, si compra a basso prezzo e si vende ad alto prezzo”): idee già praticate da Rozzi, Anconetani, Spinelli e Paolo Mazza, senza scomodare certe iperboli. Nel frattempo, dopo aver vinto il primo derby sulle ali dell’entusiasmo tricolore, ha infilato sei sconfitte di fila che hanno un solo precedente sotto la Madonnina e risale all’Inter del presidente Masseroni nell’immediato dopoguerra (6 ko tra il ‘46 e il ’48), riducendo il Milan a una copia dell’Espanyol, dell’Everton o del Torino degli ultimi decenni, squadre che hanno reso le stracittadine a senso unico.
Per gli avversari.
Ora ha quattro mesi per riconquistare il popolo rossonero. Ma a scorrere i primi nomi per la panchina, i tifosi fanno già gli scongiuri. Si aspettavano Conte, ma non è in linea con la filosofia del club: vuole giocatori bravi.
Meglio un Lopetegui con meno pretese.
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